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Intervista a Martin dei Sempre Peggio e Volkswriterz

Chiacchierata con Martin, attualmente bassista e voce dei Sempre Peggio e attivo nel collettivo di writer Volkswriterz

Antifascista, in passato militante in diversi collettivi negli spazi sociali di Milano – dove comunque continua a organizzarci iniziative – suona nei Sempre Peggio e ha suonato nei Logica di Morte e negli RFT, ha mandato avanti una etichetta DIY dal nome Basura, è un writer, ha fatto una caterva di poster di manifestazioni e concerti negli ultimi 20 anni e ha contribuito al libro per i 10 anni della scomparsa di Dax. Insomma, è una persona attivissima nella scena punk, DIY e politica. Stiamo parlando, come avete già capito, del buon Martin, che sicuramente ne avrà da raccontare in questa intervista, quindi… si parte!

Radio Punk: Ciao Martin e benvenuto sulle nostre pagine! L’idea di intervistarti è nata tracannando insieme a te del pessimo vino bianco il 25 aprile a Bologna. Ma a differenza di quel vino, l’idea dell’intervista direi che è ottima! Raccontaci un po’: quando e come inizi a muovere i primi passi nell’ambiente punk, DIY, antagonista, writer, ecc? Qual è stato il primo progetto di cui hai fatto parte, nel senso: arrivi dalla parte musicale, da quella politica, o come ci sei capitato in questo “ambiente”?

Martin: Ciao Tommy e ciao a tutti e tutte! Inutile dire che è un vero piacere fare questa chiacchierata con voi, almeno i postumi di quel vino orribile sono valsi a qualcosa… devo dire che sei informatissimo sulle scorribande del sottoscritto, perciò credo sia una buona occasione per raccontare anche delle robe meno note che appartengono ormai a qualche altra era geologica. 

Per la verità il primo vero progetto che mi ha coinvolto fu una fanzine a cavallo tra la fine delle medie e l’inizio del liceo. Si chiamava PROTESTIAMO (e te pareva…) e in realtà era un accrocchio di minchiate in puro stile demenziale. Ti racconto di questa improbabile pubblicazione che conquistò il traguardo del secondo numero per un motivo ben preciso: la cosa divertente è il fatto che senza che io avessi mai visto una classica fanzine punk ne realizzai praticamente una. La grafica con i collage fotocopiati, i fogli Letraset di mia mamma saccheggiati per comporre i titoli, i vari inserti a mano… per citare un Ruggeri d’annata si può dire “punk prima di te”, anzi in questo caso “prima di me”! 😀 Puoi immaginare quindi lo stupore/piacere di vedere e conoscere successivamente tutto il mondo DIY di cui robe come queste erano la spina dorsale. Tutto questo per dire che quell’urgenza di comunicare evidentemente trova sempre i suoi canali per uscire.

Pe fartela invece un po’ più breve su quello che è il mio cursus honorum nel nostro ambiente possiamo dire che arrivo dalla parte musicale, partendo come adolescente topo di negozio di dischi e metallaro, per scoprire successivamente il punk e l’hardcore, passando come tutti dalle robe più mainstream al mondo del DIY. Questo coinciderà anche con il passaggio da cane sciolto che andava ai cortei e ai presidi a diventare un militante a tempo pieno di strutture occupate e autogestite. Fai che in parallelo ho sempre suonato da quando avevo 14 anni (prima robe tra l’indie anni ’90 e gli Husker Du, poi punk grezzo, dopo ancora hardcore fino ad oggi che suono con i Sempre Peggio) e che nel frattempo a forza di rompere il cazzo ai miei migliori amici che facevano i graffiti ho iniziato a prendere in mano le bombole anch’io per dipingere. Ecco, buttaci dentro tanti gatti, un po’ di calcio, parecchi libri e quantità più o meno industriali di alcool e da tutto sto frullatone vengo fuori io. 

Radio Punk: la cosa che più ci ha incuriosito, è questo connubio tra il punk/oi! e il fatto che sei un writer. Siamo da sempre grandi sostenitori delle sottoculture unite e quello che ti chiediamo è, ad esempio, se c’è un minimo comune denominatore fra queste due culture e se ci racconti un po’ la tua storia da writer. Inoltre vorremmo chiederti com’è messo questo movimento allo stato attuale delle cose, rispetto a tempo fa. 

Martin: Se dovessi trovare delle similitudini tra writing e punk ti direi sicuramente la famosa urgenza di comunicare e la riappropriazione di spazi, anche se con forme di coscienza completamente diverse. E non ultimo che si tratta di qualcosa che possono fare tutti, anzi quest’aspetto è proprio uno dei cardini alla base dell’esistenza e della diffusione di queste realtà. 

Io come un po’ tutti inizio a fare le scritte per spirito di emulazione, in questo caso dei miei migliori amici ai tempi del liceo che erano entrambi writer. Inizialmente restio a seguirli in una passione nella quale arrivavo a ruota e in ritardo, a forza di scassargli la minchia con consigli non richiesti su lettere e colorazioni, grazie alla loro sacrosanta esasperazione, sono arrivato a quelle due parole che ad un certo punto cambiano tutto: FALLO TU (anche HAI ROTTO IL CAZZO in realtà…)! Come vedi il collegamento al punk era molto più immediato del previsto.

Se da una parte sono arrivato abbastanza tardi a fare le scritte, considerato che la maggior parte della gente inizia da adolescente, ho avuto la fortuna di dipingere in anni molto stimolanti in cui c’è stata una vera e propria esplosione della scena milanese. Nella seconda metà degli anni ’90 ci fu quello che possiamo considerare un ricambio generazionale nel quale a tutti i writer della vecchia scuola si aggiunse una bordata di gente nuova. L’impressione ai tempi è che dipingessero tutti, o quantomeno chiunque faceva almeno le tag e la città era stata completamente conquistata dai writer: bombing ovunque, dal centro alle periferie, tutte le linee ferroviarie tappezzate di pannelli, lungolinea sfondati, tetti dipinti dappertutto, la metro che girava con gli wholecar… quando arrivavano gli ospiti da altre città o nazioni rimanevano regolarmente scioccati da quanto Milano fosse devastata.

Io ho dipinto attivamente per 5/6 anni, sperimentando diverse tag (FLOOD, LAURO, SOVIET le principali) e rappresentando le mie crew (MDS, GS, VB e altre varie) soprattutto in strada. Rispetto a tanti altri writer focalizzati soprattutto sui treni il grosso della mia produzione è stato lo street bombing e i vari lungolinea di treni e metro. Dopo un tot di anni a scrivere il mio nome, complice la diaspora dei membri della mia crew principale, l’MDS, un po’ di stanchezza rispetto ad alcune dinamiche della scena hip-hop e il desiderio di concentrare le mie energie sulla militanza politica, la famosa “fotta” che mi aveva animato come writer è un po’ venuta meno. 

Quello è stato il momento in cui abbiamo fondato i VolksWriterz, una crew aperta e esplicitamente militante ed antagonista, con la quale abbiamo fuso insieme la tecnica del writing con i contenuti del muralismo. Da allora siamo sempre stati una sorta di strumento al fianco delle lotte sociali e delle strutture occupate ed autogestite attraverso il quale lasciare dei segni sul tessuto urbano e costruire un certo tipo di immaginario. Penso che possiamo considerarci come la prima crew “militante” tout court, ed è bello vedere come 20 anni dopo ci siano un sacco di altre realtà che utilizzano il writing per comunicare qualcosa, diventando così un esempio da emulare. Oggi puoi trovare il nostro passaggio sugli spazi occupati di tutta Italia e qualcosa anche all’estero, con una particolare attenzione a tutto quello che riguarda la memoria della Resistenza.

Per il resto oggi continuo a scrivere il mio nome quando ci sono le occasioni, ho avuto l’onore di entrare in una delle crew più prestigiose di Milano, l’MNP (Milano Napalm Posse), e se capita di poter contribuire con le mie energie ad iniziative legate al writing all’interno delle dimensioni autogestite lo faccio sempre volentieri. E non mettetemi in mano un marker quando sono sbronzo che mi trasformo tipo Gremlins quando vengono bagnati…

Radio Punk: a livello punk e oi! invece hai suonato e tuttora suoni in una band, hai avuto un’etichetta, la Basura DIY e hai organizzato diversi concerti e ad oggi continui a farlo. Raccontaci un po’, cos’è il punk per te, cosa ti ha spinto un giorno a imbracciare uno strumento e organizzare robe in giro? Che differenze riscontri rispetto a quando hai cominciato? 

Martin: Il punk oggi direi che lo possiamo considerare come un compagno di strada che mi affianca nella vita con entusiasmo ed indulgenza da quando sono ragazzino. Dal punto di vista puramente musicale, come un po’ per tutti, è stata la scoperta di un linguaggio comunicativo in cui la rabbia non veniva, diciamo, ingabbiata come nel metal, ma sguinzagliata e lasciata libera di deflagrare. Un genere che ha sempre fatto della propria integrità e intensità la sua forza.

Nell’arco della mia crescita l’aspetto più legato alla musica ha progressivamente assunto meno importanza di tutto quello che invece era espressione di quei principi e di quell’etica che sono peculiarità del DIY: il punk diventava quindi qualcosa che si caratterizzava non tanto nel genere o sottogenere musicale, bensì nel come fai le cose. In questo senso mettere insieme la militanza politica con questa passione è stata una cosa più che naturale, tanto che ci è voluto un attimo poi a ritrovarsi a partecipare al collettivo che si occupava della programmazione musicale all’interno delle strutture che avevo iniziato a frequentare attivamente. Negli anni a cavallo tra il 2001 e il 2005 ho avuto la possibilità di contribuire all’organizzazione di tantissimi concerti e festival punk/hc/Oi! Prima al LSOA Deposito Bulk (in particolare dentro a Smokerz, il pub interno dove facevamo il grosso dei concerti punk) e successivamente a Malamanera_Bovisa Squat, casa occupata in cui ho vissuto per due anni, dalla sua occupazione fino al giorno dello sgombero.

Credo sia uno degli aspetti più belli di questo mondo il fatto che il grosso delle persone che vivono questo ambiente si occupino spesso di tanti diversi aspetti e non circoscrivano la loro partecipazione ad un ambito esclusivo del circuito punk DIY: chi suona organizza anche i concerti, chi scrive fanzine magari stampa magliette con la sua serigrafia, chi fa il fonico realizza anche le grafiche dei manifesti o magari porta avanti un’etichetta, ecc… questo è qualcosa in cui mi riconosco profondamente, così come sento mio quel concetto di orizzontalità che regola i rapporti in questo mondo. Ecco se alla fine di tutto uno dovesse andare a chiedere qual è la cosa più bella di questo strano mondo che è il punk credo che la risposta sarebbe semplice: conoscere altre persone e farlo condividendo la stessa visione delle cose in termini di rapporti umani, impegno ed etica. Tutto questo naturalmente con diversi gradi e diverse sfumature, ma credo che la qualità dei rapporti umani sia la cosa che caratterizza maggiormente questa realtà.

Spesso si è parlato di ghettizzarsi, di chiudere un ambiente a riccio, beh io non credo che sia questo il caso. Ho ripetuto più volte che questo nostro circuito non è un ghetto, bensì un’oasi. Un’oasi che difendiamo con le unghie e con i denti, un’oasi fatta di integrità di percorsi, di inclusività, di rifiuto del giudizio, di partecipazione dal basso. Ed è qualcosa di meravigliosamente riproducibile e contagioso!

Oltre a tutti questi aspetti poi c’è anche tutto quello che ruota attorno a un bellissimo spazio per potersi esprimere in piena libertà e veicolare messaggi e contenuti senza alcun compromesso o mediazione, e tutto questo da un palco/pavimento/terreno dove il nostro piccolo e smisurato ego trova un po’ di soddisfazione e dove solitamente c’è un’esplosione di energia/vita/delirio che ti fa capire che tutto sommato basta poco per sentirsi vivi.

Si cresce, si vive, si impara col punk. E’ una cosa bellissima e tutt’altro che scontata.

Radio Punk: Torniamo alle due sottoculture di cui fai parte. Come viene percepita la politica in questi due ambienti e con quali differenze o cose in comune?

Martin: La politica ha inevitabilmente a che fare con il punk DIY, mentre in un certo senso sfiora il writing in maniera più incosciente. Dall’altro lato può avere poco o niente a che fare con un certo punk mainstream ed essere invece parte integrante di un messaggio per tante realtà della scena hip-hop. L’illegalità che sta alla base del writing fa sì che, anche se in maniera completamente incosciente, se uno volesse utilizzare determinate categorie di giudizio, scrivere dove si vuole riappropriandosi di spazi del tessuto urbano è comunque considerabile alla stregua di un gesto politico. Però mi sembra evidente che si tratterebbe di una forzatura… 

Possiamo dire che negli ultimi anni si è verificato senza dubbio un maggiore utilizzo del writing come strumento per comunicare temi antagonisti, politici e sociali; questo perché il writing oggi è diventato un linguaggio universale per le giovani generazioni e come lo si usa per scrivere il proprio nome, così può diventare qualcosa con cui dire anche altro. Detto questo i writer di solito sono molto restii a farsi mettere il classico cappellino in testa e non gradiscono grosse interferenze da parte della politica, anche se è del tutto naturale che sentano le realtà occupate ed autogestite, dove i graffiti hanno sempre trovato spazio storicamente, come un contesto a loro affine.

Il punk, in particolare quello che fa riferimento al circuito DIY, è un fatto politico in sé. Dal grido di ribellione intransigente e primordiale fino all’etica dell’autogestione è normale trovarci delle categorie “politiche”. La normalità nel nostro mondo è che le date servano a sostenere lotte sociali, prigionieri incarcerati, campagne politiche. Se dovessi prendere il mio operato come un esempio tra i tanti, dal 2006 che sono di fatto un cane sciolto che ha organizzato iniziative con le realtà più diverse avrò organizzato 9 benefit ogni 10 concerti tirati in piedi. Mi sembra proprio l’ABC ecco… mettici poi che il punk è il mondo per eccellenza dove vivono e respirano maggiormente le istanze libertarie e fatti due conti. 

Con questo esistono senza ombra di dubbio anche i punk (solo) nella cresta, i modaioli, i fan di un genere musicale veloce e incasinato: esiste anche il disimpegno, ma credo sia un fenomeno marginale rispetto a tutto il resto.

Radio Punk: sempre rimanendo in ambito antifascista, hai fatto parte di diversi spazi sociali di Milano, quali sono stati quelli in cui hai bazzicato di più? Com’è vivere nella tua città, fare quello che ami e quanto è cambiata da quando hai mosso i primi passi a livello politico? 

Martin: Il primo centro sociale in cui sono entrato in vita mia era il CSOA Garibaldi, che stava dietro la scuola che frequentavo. La tarda adolescenza l’ho passata tra le occupazione dei licei (degli altri… io facevo la scuola tedesca), le diverse iniziative di movimento e le serate negli spazi. Il Leoncavallo, la Pergola, il CSA Vittoria, il Laboratorio Anarchico, Cox 18… entrerò ufficialmente all’interno del collettivo del LSOA Deposito Bulk solo nel 2001, dopo Genova, anche se in realtà era un posto che bazzicavamo da fruitori già da parecchio. Il Bulk di quel periodo mi piaceva perché era una sorta di federazione di progetti diversi, tutti con pari dignità, che hanno fatto di quello spazio una sorta di unicum in un periodo dove tutte le realtà appartenevano ad aree politiche abbastanza definite. Da noi trovavi gli anarcociclisti, i collettivi studenteschi, gli hacker del LOA, la cricca punk di Smokerz, il teatro e pure qualche comunista internazionalista come me! Dopo circa tre anni, spinti dalla necessità di dare una risposta al bisogno abitativo diffuso, con una parte del collettivo del Bulk e altre compagne e compagni abbiamo occupato una palazzina in Bovisa, dando vita a Malamanera. Lo squat ha dato un tetto ad una ventina di persone, oltre ai vari ospiti, per poco più di due anni, venendo sgomberato nel luglio del 2005. Era un’occupazione che si inseriva nel contesto delle grandi mobilitazioni che ci furono quel 2003, anno in cui fu assassinato “Dax”, Davide Cesare, militante antifascista dell’O.R.So. (Officina della Resistenza Sociale) il 16 marzo in Ticinese. Nei due anni di occupazione, nonostante lo spazio fosse improntato prevalentemente sull’abitativo, siamo riusciti ad organizzare due grandi festival Oi!/hc e punk-hc benefit e parecchie altre iniziative di carattere musicale e culturale oltre alla partecipazione attiva alle mobilitazioni di movimento in città. Dopo ho fatto parecchie cose con l’O.R.So. fino al suo sgombero e poi ho iniziato ad organizzare iniziative a spot con tantissimi spazi in città e anche a livello nazionale, sia in ambito musicale che con i VolksWriterz, e questo va avanti fino ad oggi.

Milano è un città ostica, ma allo stesso tempo piena di opportunità. Devi abituartici, non è sempre scontato, ma quando trovi il tuo equilibrio è una città che sa darti tanto. Allo stesso tempo se nei ’90 visse l’esplosione dei centri sociali e le conseguenti energie positive e propulsive sulla città, dopo le giornate di Genova e soprattutto dopo l’omicidio di Dax Milano per anni è stata una mezza trincea, in cui fare politica è stata una sfida dura e impegnativa. Possiamo considerare il tentativo di sgombero di Cox 18 nel 2009 come una sorta di spartiacque per la metropoli: respinto quello il movimento ha iniziato a riprendersi e a riconquistare parte dell’agibilità politica che gli anni bui della Milano roccaforte del berlusconismo avevano iniziato a minare. Tra le mobilitazioni studentesche dell’Onda, la lotta in Val di Susa e i grandi cortei conflittuali di Roma c’è stato un ricambio generazionale nelle fila del movimento e la risposta sono state tante nuove occupazioni sul territorio.

Devo dire che gli anni più duri ci hanno in qualche modo temprato e questo ha fatto sì che si sia arrivati agli anni ’10 con un bel bagaglio di esperienza combattiva. Credo che in parte anche da questo siamo arrivati a quei 5 intensi anni a partire dal 2015 raccontati dal documentario “Uragano negli occhi” realizzato dai compagni del FOA Boccaccio, in prima linea nelle lotte da sempre. Ecco, se mi chiedi rispetto alle cose che amo, questi ultimi anni forse sono stati davvero tra i più belli se ci riferiamo al circuito punx, tanto per dire che non è sempre “ah, ti ricordi però che bello X anni fa”…

Dal punto di vista politico sarebbe una bugia non ammettere che oggi ci ritroviamo molto più sulla difensiva rispetto agli anni ’90, dove alcune delle nostre istanze più radicali trovavano più spazio e più consenso. Sta a noi riprenderci le strade, le piazze, le scuole, i posti di lavoro e tornare all’offensiva. Non sarà facile, ma qualsiasi lotta è fatta di difficoltà e sacrifico, non ci siamo spaventati in tutti questi anni non lo faremo certo oggi o domani!

Radio Punk: Parlando in maniera più ampia e non legata alla tua città del discorso politico, come vedi la situazione e come vedi anche il ricambio generazionale? Per usare un eufemismo, siamo in declino, sia per quel che riguarda le controculture che l’antagonismo in sè, cosa si può fare per invertire la tendenza e continuare a lottare, a suonare, ecc? Per dirne una… Bisogna trovare strade alternative alle occupazioni o bisogna continuare su questa direzione, nonostante sgomberi lampo, repressione a mille e via dicendo?

Martin: Per risponderti a questa domanda abbastanza ampia e complicata proverò a partire da quello che è stato il ventennale delle giornate di Genova del G8 del 2001, celebrate in diverse modalità proprio quest’anno. Fuori dalla retorica del “avevamo ragione noi” (tutto vero peraltro…) e da una visione nostalgica di quella fase del movimento, di cui, specifichiamo, c’è ben poco di cui essere nostalgici, la nostra serena analisi a vent’anni di distanza è che “ci hanno fatto un culo così”! Non è certo il conflitto di classe ad essere svanito: sono piuttosto cambiati i rapporti di forza; nel senso che se la fase storica indicherebbe il momento giusto per un’offensiva dal basso contro il capitale la realtà è che quest’ultimo non solo gode di ottima (apparente) salute, ma è stato capace di riorganizzarsi a fronte di alcune crisi drammatiche, come quella dei subprime nel 2007 ad esempio, e oggi viaggia agguerrito ad un’impensabile velocità di crociera schiacciando ogni forma di dissenso o, nella migliore delle ipotesi, prendendosi gioco di chi ancora si permette di metterne in discussione principi e cardini. 

Aggiungi a questo quelli che sono i mutamenti sociali che hanno cambiato le nostre vite radicalmente in questi ultimi due decenni, dalla rete all’avvento del web 2.0 con la comparsa dei social network, la delocalizzazione e conseguente frammentazione del mondo del lavoro, la martellante propaganda populista che subiamo in continuazione, i risultati del “dividi et impera” utilizzato nei confronti delle classi sfruttate e ti ritrovi con in mano una fotografia di una società superficiale, egoista, avida e incattivita. Non è difficile comprendere come le nostre istanze di libertà, uguaglianza e solidarietà oggi trovino poco terreno fertile. Se questa è la fase, sta a noi difendere la nostra agibilità politica nei limiti del possibile, anche in un contesto come questo che non regala certo un grande ottimismo a guardare la situazione in prospettiva.

Per quanto riguarda le nostre realtà indubbiamente paghiamo lo scotto di tempi difficili e complicati, ma non sbagli a mettere in evidenza la questione delle controculture. Credo che le nostre strutture abbiano avuto la capacità di dare spazio e cavalcare positivamente l’avvento di questi nuovi fenomeni: il punk, l’hip hop, i party e i traveller, l’hacktivism… se ci pensi tutte queste controculture hanno attraversato i nostri circuiti trovando sempre spazio per crescere ed esprimersi, dando grande linfa ed energia alle diverse realtà occupate ed autogestite, mentre oggi forse stiamo anche pagando la mancanza di qualcosa di nuovo e dirompente. L’esplosione degli spazi sociali coincise con un periodo nel quale se cercavi quel genere di nuovi fenomeni li avresti trovati lì, portando anche a una rivoluzione dei linguaggi della politica attraendo un sacco di gente nuova.

Nel frattempo la società e il mainstream hanno progressivamente fagocitato, digerito e risputato tutto trasformando il grosso in prodotto di consumo. Se prima un impianto su un furgone durante un corteo era una novità oggi le streetparade le fanno i locali della movida. Se un presidio con musica e proiezioni in piazza era qualcosa di inedito oggi potrebbe essere un aperitivo promozionale di qualcosa. Se prima per vedere i graffiti varcavi il portone di questi strani centri sociali oggi ti compri la felpa da 300 euri con il logo streetwear… Oggi servirebbero nuovi linguaggi, qualcosa di dirompente, ma è tutto più facile a dirsi che a farsi. 

Rispetto a che tipo di strategie mettere in campo e se occupare ed autogestire siano da considerarsi pratiche obsolete mi verrebbe da rispondere che non sarà l’associazionismo di base a costruire presupposti migliori per il futuro, almeno dal mio punto di vista. Se gli spazi saranno destinati a durare meno dei percorsi fatti di anni di consolidamento negli stessi quartieri e territori che si sappia ripensare a forme di occupazione che si adeguino a queste contingenze: insomma provare a trasformare quelli che sembrano dei limiti in punti di forza. Di sicuro in una fase come questa saranno le prese di posizione radicali su cui ricostruire, altrimenti avremo perso terreno già in partenza. Per chiudere il discorso, forse guardare all’esempio dell’integrità e dell’intransigenza di una scena come quella punk ci può insegnare molto anche in questo senso.

Radio Punk: Tempo fa, alla presentazione al Cox18 di “Anni Buttati”, il vostro ultimo 7”, ci hai raccontato una serie di aneddoti alcolici sulla canzone “Risveglio”, in particolare il tutto partiva dalla nostra domanda riferita al vostro “ma sto cane?” che dicevate nel corso della canzone. Il mondo deve sapere cosa è successo durante le registrazioni… raccontaci un po’!

Martin: Non so per quale arcano motivo (chissà…!), ma “Anni buttati” è un disco particolarmente cazzaro, pure per i nostri standard. E in questo senso “Risveglio” è un po’ la punta di diamante della situazione. Quando scrivo i testi o ci confrontiamo su quelle che possono essere le tematiche chi ci piacerebbe affrontare nei nostri pezzi il processo creativo è abbastanza casuale. Vero è che in tante canzoni parliamo proprio di vita vissuta e, in senso buono, di argomenti fieramente terra-terra. Non siamo certo dei raffinati intellettuali ed esteti e questo credo si evinca abbastanza dalla nostra cifra stilistica…

“Risveglio” è un po’ la conseguenza di tutto questo: una sorta di inno ai buchi neri che costellano le nostre serate peggiori, un tributo all’oblio che l’ebbrezza ci regala, un grande ringraziamento per tutti quei ricordi che resteranno fissi nella memoria. Quella degli altri però… e quindi se in passato abbiamo scritto un’unica canzone d’amore, dedicata peraltro al Campari, questa è un piccola rivendicazione orgogliosa delle nostre pessime abitudini, un po’ “Una notte da leoni” in chiave punk skinezz. Sul cane in questione non vogliamo entrare nei dettagli per lasciare spazio alla fantasia di ognuno di voi…

Radio Punk: Sempre parlando dei Sempre Peggio, siete una delle band più apprezzate e ogni live si trasforma in un mix di casi umani che si lanciano a cantare con voi, gente che vola e motorini tirati giù dagli spalti. E la cosa che abbiamo notato è che pur essendo una band oi! siete apprezzatissimi dai punx. Come mai secondo te? Cosa riserva il futuro dei Sempre Peggio? E invece per quel che riguarda te, c’è qualche progetto musicale che vorresti fare in futuro, anche diverso da quello che hai già fatto?

Martin: Guarda, ricordo benissimo Marco Downright che a un festival mooolto straight edge di qualche anno fa qui in zona Milano dove suonarono loro e i Kafka (oltre a un sacco di gruppi mooolto sXe), ci tenne a sottolineare che hardcore era comunque una declinazione di punk… chi vuole intendere intenda! Ecco, credo che oggi per noi presa da un altro punto di vista sia un po’ la stessa cosa. Suonare Oi! non significa mettersi una divisa di circostanza o fare musica esclusiva per pelati: l’Oi! è un pezzo di punk e a noi piace l’idea che skins & punx formino una bella famiglia, ognuno con le sue peculiarità e diversità, ma comunque una famiglia. A questo aggiungi che come tipo di sonorità siamo sempre stati belli grezzi e diretti, senza troppi fronzoli insomma, e questo coi punk va a nozze. Dulcis in fundo siamo degli amabili scassoni e questo suppongo che in qualche modo ci renda simpatici, e tutto sommato credibili ai più. Siamo molto fieri di tutti quelli che vengono a fare casino quando suoniamo, questo ci tenevo a dirlo!

Per quanto riguarda il futuro dei Sempre Peggio dopo una pausa parecchio lunga dovuta alle menate relative al covid e alle varie quarantene e zone rosse ci siamo rimessi in bolla dopo l’estate e stiamo preparandoci per registrare un po’ di roba nuova questo ottobre. L’idea è quella di fare uno split entro l’anno, ma non ti svelo altro! Nel frattempo abbiamo fissato le prime date in cui torneremo finalmente a suonare dal vivo. Inutile sottolineare quanto se ne sentisse il bisogno. Per il resto l’idea è quella di rimetterci a comporre con continuità e vedere di pubblicare un altro LP appena avremo il materiale pronto, suonare il più possibile dal vivo compatibilmente con le nostre possibilità tra lavoro e sbattimenti vari (un mini-tour all’estero in questo senso sarebbe il massimo), cimentarci nuovamente con un video prima o poi… il solito insomma.

Io al momento non sento chissà che esigenza di imbarcarmi in altri progetti musicali. Più che altro faccio un lavoro che prende già fin troppo tempo, ed immaginarmi oggi a dover gestire altri sbattimenti tra prove, date e tutto il resto lo vedo davvero come poco realistico. Certo, ogni volta che mi rimetto ad ascoltare hardcore un po’ mi manca suonarlo, così come se esistessero giornate di 48 ore ed avessi effettivamente del tempo libero a disposizione mi piacerebbe pensare a un progetto post-wave incazzato e tetro, ma direi che già riuscire a fare le cose come si deve con i Sempre Peggio sarebbe un bel traguardo. Con gli anni sono diventato un po’ più coi piedi per terra.

Radio Punk: Hai altri hobby/passioni? Cosa ascolti solitamente? Qual è il tuo genere preferito di musica? Ascolti altro oltre al punk? 

Martin: Amo i libri e leggere, in particolare saggistica: mi affascina soprattutto la storia. Poi amo la poesia, e qualche romanzo ogni tanto alla fine me lo leggo. Infatti casa mia è piena di libri… se vado avanti così finirò a dormire sul balcone! Mi piace molto anche la grafica, tanto che quando posso realizzo ancora manifesti per iniziative politiche e/o concerti, come ho fatto tante volte in questi ultimi vent’anni. Colleziono manifesti politici e maglie da calcio, oltre a un po’ di chincaglieria militante. Diciamo che per dirla in positivo ho un po’ il piglio dell’archivista, in negativo accumulo roba!

I miei gusti musicali sono abbastanza variegati, come si suol dire ascolto un po’ di tutto: rock, punk, rap, metal, elettronica, progressive, indie-pop, postrock e new wave, reggae, qualcosa di jazz e blues, cantautorato vario… dipende dai periodi e dallo stato d’animo. Se dovessi dirti un genere in particolare penso sarebbe il rock, da classico ad alternativo in una declinazione molto ampia, ma sarebbe comunque un po’ riduttivo. Passo serenamente da Peter Gabriel ai Pelican, dai Descendents ai De La Soul, piuttosto che dai Kortatu ai gruppi “bitt” italiani degli anni ’60. Va proprio a periodi.

Radio Punk: ultima domanda “seria”. Sempre meno persone leggono webzine, fanzine e approfondimenti. Pensi abbiano ancora senso di esistere? Ce n’è qualcuna che leggi assiduamente sia cartacea che web? Piuttosto che continuare con contenuti scritti, credi sia il caso di provare anche qui nuove strade e buttarsi a fare canali twitch, youtube, podcast come ne stanno nascendo anche nel punk, o le due cose possono e devono esistere in parallelo?

Martin: Sono un affamato lettore e quindi amo le ‘zine in ogni loro forma, anche se nulla toglie il piacere di avere un supporto cartaceo realizzato bene con tutti i dovuti crismi. Non solo penso che abbiano senso di esistere ancora oggi, ma che siano proprio fondamentali per trasmettere quello “spirito” nel presente e nel futuro. In questo senso sono imprescindibili oggi anche tutti i diversi formati web, dai blog ai podcast alle varie pagine sui social network. Abbiamo un sacco di strumenti che facilitano e velocizzano la comunicazione, non usarli sarebbe da imbecilli. 

L’importante penso risieda nel non venire a compromessi con se stessi e sentirsi sempre nelle condizioni di essere liberi di dire/scrivere quello che si pensa, che questo avvenga in un video, su un fogliaccio fotocopiato o su qualche piattaforma di blog. Io sono ancora molto novecentesco come radici, ma ho sempre guardato a quelle che sono le nuove tecnologie come ad una risorsa per tutti. Certo non bisogna farsi fagocitare da questi nuovi sistemi di comunicazione, ma con un minimo di intelligenza e buonsenso oggi abbiamo molte più possibilità di qualche anno fa.

Insieme a T.V.O.R. che ha fatto scuola e che ho letto naturalmente postuma, una delle migliori fanze italiane è senza dubbio Porrozine, e trovo inoltre encomiabile il lavoro di Christian Montagna (Sons of Flies webzine) che spinge la cultura dal basso da tanti anni in maniera instancabile. Poi in realtà ci sarebbero da citare altri mille esempi, tra cui naturalmente il vostro, ma finirei per fare il classico listone della spesa. Quindi w le fanze: cartacee, virtuali e chi più ne ha più ne metta. Sono qualcosa di imprescindibile per il nostro mondo.

Radio Punk: è stato un piacere averti qui con noi, ora la domanda che tutti aspettavano: Campari o birra? Grazie Martin, alla prossima!

Martin: Aaaaaaaah… mi chiedi di schierarmi!! Però essendo mezzo tedesco la mia risposta sarà scontata: con tutto l’amore per il Campari, birra tutta la vita! 

A fare un po’ un outing mi avresti messo comunque più in crisi dovendo scegliere tra vino e birra… 😀

I preferiti di Martin:

Abbiamo deciso di inserire i preferiti di ogni intervistato alla fine dell’intervista. Allo scopo di conoscere qualcosa di nuovo e farsi un’idea sui gusti del nostro ospite che potrebbe stupirvi. Ci sarà spazio per album, film, libri e progetti intesi come ‘zine, programmi radio, progetti d’artigianato, collettivi, altre etichette e altro ancora.

Martin: Premessa: così è impossibile! Facciamo gli ultimi che mi hanno colpito in modo particolare e che mi vengono in mente al volo.

Album: Russian Circles “Geneva”(2009)
Film: “Border – Creature di confine” (2019)
Libro: “Chiederò perdono ai sogni” S. Chalandon
Progetto: Hub-Cap Creatures fa delle robe fighissime…

CREDIT FOTO: Enrico Zanza

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