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Intervista a Marziona

Chiacchierata con Marziona di Horror Vacui, Kontatto, Marthe.

Ha suonato diversi strumenti, forse la sua specialità è il d-beat alla batteria, o forse dei mega-riff alle corde, ultimamente nel progetto one-woman-band “Marthe” ha anche cantato.
Le band di cui ha fatto parte sono letteralmente parte del patrimonio crust/d-beat/post-punk DIY italiano, anche se farà la modesta e lo negherà! Conosciamo meglio la mitica Marzia!

Radio Punk: Ciao Marzia e benvenuta nella nostra ‘zine! Abitiamo a tipo due vie di distanza e passo spesso dal buon Koppa e fa molto ridere che l’intervista sia scritta. Ma andiamo avanti! Dicci un po’, quando scatta in te la scintilla e ti avvicini a questo mondo? Fai il giro largo e passi prima da metal/altri generi musicali o dalla politica o arrivi direttamente al punk?

Marzia: Ciao! In effetti sarebbe più bello farla nel quartier generale di Agipunk o davanti a una colazione in Bolognina ma dato che da settembre a giugno vivo murata in una scuola (come la Signorina Trinciabue) facciamola nel metaverso 🙂
Vi dirò, dopo 25+ anni di percorso, musica, sbattimenti ma soprattutto coerenza non farò la modesta e mi prendo volentieri i complimenti, grazie <3 E’ vero che ho potuto attraversare e fare parte di una buona fetta della nostra storia punk recente, fortunatamente potendo vivere molte delle realtà che sono oggi via via sparite e respirando la coda di un’atmosfera che si è fatta sempre  più rarefatta. In questi anni non mi è stato mai regalato o facilitato un mm di quello che ho fatto, ho sudato per ogni cosa conquistata, da sola e grazie a splendidi compagni di viaggio nonostante alcuni percorsi si siano interrotti.
Parlando del mio percorso come prima cosa dico grazie al punk, perchè mi ha salvato la vita. Senza la musica avrei fatto la fine della maggior parte dei miei coetanei nella mia cittadina, martoriata dall’eroina degli anni ’80/’90.  
Devo “tutto” ai Queen, pace all’anima dei detrattori di questo gruppo incredibile. Guardando in diretta il Freddie Mercury Tribute nel ’92 ho scoperto i Metallica e grazie a loro ho scoperto i Misfits e i Diamond Head e grazie ai GnR ho scoperto UK Subs, Damned e Dead Boys. E da lì è partito tutto, soprattutto andando a fondo nell’aspetto politico dato che la musica fine a se stessa non mi è mai sembrata completa.
Accanto a casa mia c’era un negozio di dischi (Power Station) e il proprietario (il compianto Paolo Montaresi, membro anche di una band post-punk spezzina di primi anni ’80, i Pagan Easter) mi suggeriva un sacco di ascolti. Mi ha fatto scoprire gli Extreme Noise Terror così, a caso, a 13 anni, quando il crust non sapevo nemmeno cosa fosse. La differenza nella mia vita l’hanno fatta Sepultura, Extreme Noise Terror, Tiamat e Cure, perché ciascuno di questi gruppi, in vari momenti, mi ha fatto scoprire i vari generi e sottogeneri legati ad essi.
Il mio percorso è stato analogo a quello di molti altri miei coetanei dell’epoca, e credo il percorso dei/delle più giovani di adesso non si sviluppi più nello stesso modo considerando quanto i trend, la musica, la cultura, l’arte passi attraverso i social e internet e la sempre maggiore interconnesione mondo reale/virtuale. Nel mio caso gli step sono stati: metal – (A) punk – riot grrrl, crust unendo in seguito altre sfumature di nero.

Radio Punk: Beh, ma noi vogliamo sapere tutto e i nostri lettori devono riscoprire band incredibili in cui hai suonato. Io credo di averti conosciuto con le Doxie, ma hai anche fatto parte di Campus Sterminii, altra band che adoro. Raccontaci un po’ i progetti/collettivi di cui hai fatto parte, musicali e non…

Marzia: non ho mai fatto parte di un collettivo in modo formale. Ho fatto felicemente parte di alcune realtà occupate e ho collaborato a lungo con Atlantide ma più dietro le quinte, quando c’era bisogno e co-organizzando alcune serate (“Legion Of The Dead”). La ragione primaria è che sono una persona profondamente socievole ma molto solitaria quindi nel gruppo (politico, progettuale, lavorativo) non trovo la mia forza come accade a molte persone bensì avverto i miei limiti perché in generale i tempi decisionali e operativi sono più dilatati e ci vuole costante confronto su tutto. Sono iperattiva e fatico a reggere il ritmo dettato dal lavoro di gruppo. Lo so fare, all’occorrenza, ma preferisco i gruppi ristretti.  
Nel 2021 io, Koppa e Masbucci, assieme a Liz (VanDerNull) per la parte grafica, abbiamo messo insieme le idee nel collettivo “Senti Il Richiamo”, un collettivo “diffuso”, con il quale abbiamo organizzato alcuni concerti itineranti in spazi di varia natura a noi cari. E’ un buon esercizio di pratica di cui c’è sempre bisogno, anche se non facciamo nulla di nuovo se non proporre concerti con selezioni musicali di più ampio respiro e in contesti maggiormente trasversali, con un occhio anche alle pratiche e ai gruppi delle scene straniere, che seguiamo molto e con cui siamo abbastanza connessi nonostante il periodo storico di semi segregazione.  
Come band invece ho avuto tante esperienze, ognuna delle quali mi ha insegnato tanto. Certi insegnamenti me li sarei anche risparmiati sinceramente. Ricollegandomi a quanto detto sopra, sebbene sia pur sempre una dinamica di gruppo, suonare assieme ad altre persone non mi crea nessun problema perché in una band ognuno ha un ruolo ben preciso. O meglio, nel tipo di band che intendo io, perché ad esempio non potrei mai suonare in un gruppo doce si jamma o improvvisa, impazzirei.
Di un gruppo mi piace il senso di appartenenza che si crea, le stronzate in tour, gli aneddoti infiniti.
Ci sono anche lati negativi: purtroppo i famosi 25+ anni di esperienza mi hanno insegnato che tutto può andare in fumo in tre secondi. Inoltre andando avanti è sempre più dura trovare coetanei (dai 40 in su, nel mio caso) con la stessa vision e carica, per non parlare di coetanee: sempre le stesse da 20 anni.
Ci tengo a precisare che se fosse stato per me mi sarei tirata dietro ogni singolo progetto dal ’95 ad oggi. Solo che la vita non va proprio così (cit.) e a volte bisogna fare i conti con comprensibili cambiamenti personali e altrui, cambiamenti di vita, trasferimenti geografici, virate artistiche, cucciolate, lavori di merda, disgrazie che ti capitano lungo il percorso e concludono il percorso di un gruppo.
Se volete un elenco per quando sarò morta ve li cito in ordine cronologico in questo bellissimo schemino (mancano le Sculacciatopi, il gruppo noise delle medie):


Molti gruppi erano di generi affini ma diversi, mi piacciono molte sfumature musicali quindi spesso è stato spontaneo volerle sperimentare e provare a cimentarmi, portando ogni progetto avanti nel tempo o più gruppi contemporaneamente.
Diciamo che è un po’ la croce del batterismo, ce ne sono sempre troppo pochi quindi tutti li vogliono. Ora è un po’ diverso, sono due anni che non suono la batteria, e sui motivi stendo un velo pietoso.


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Radio Punk: Domanda d’obbligo visto che fino ad ora abbiamo parlato del passato. Nel tuo futuro pensi ci sarà spazio per progetti diversissimi che esplorino generi diversi dal punk o dal metal? C’è qualche sogno ancora irrealizzato anche extramusicale che brami tantissimo?

Marzia: mi piacerebbe suonare EBM. Mi piace da impazzire. Ma ci vogliono le manopole e non le so usare bene. Sono ancora troppo “analogggggica” (cit.)

Radio Punk: Che il DIY e la politicizzazione facciano parte del tuo DNA lo sappiamo benissimo. Quindi vorremmo fare una domanda particolare sul tema “politico”. Pensiamo ci sia anche nei nostri spazi, che spesso definiamo liberi e sicuri, un problema di sessismo. Molte persone, solo a fare questa domanda tempo fa sui nostri social, si sono indignate mandandoci a fanculo dicendoci che non c’era nessun problema e altre schifezze simili. Te che ne pensi? Che altri problemi di cui si parla poco affliggono la cosiddetta “scena”?

Marzia: Vorrei dirvi che sarò breve ma non ne sono sicura. Cercherò di esprimere alcune riflessioni nel modo più chiaro possibile. Come tutti e tutte sappiamo il sessismo è una piaga strutturale della società all’interno della quale è inserita la nostra “bolla” e, in quanto individui facenti parte della suddetta società, ne veniamo permeati ancor prima di poter sviluppare un nostro pensiero critico di autodifesa subendone gli strascichi in seguito, nostro malgrado. La differenza tra “noi” e “il mondo normale” sta nell’aver voluto guardare in faccia il problema: latente, mascherato, estirpato, rieducato, combattuto, ma ci siamo posti in modo attivo il problema del sessismo, con grandi risultati. E abbiamo agito di conseguenza, noi come molte altre componenti attive e attente della società, sia chiaro. Parlando sempre e solo della scena punk però, questo è un merito che dobbiamo prenderci, perché molto è stato fatto.
La società questo non lo fa e, se lo fa, è solo perché se ne occupa una piccola irriducibile parte di essa.
Se vado a memoria, basandomi ovviamente sulle mie esperienze, noto che negli anni è stato fatto un lavoro di enorme lotta e sensibilizzazione da parte dalle compagne e supportato dai compagni, e se ne sono visti i frutti.
Per motivi anagrafici non c’ero negli anni ’80, dove chi c’era prima di noi già si poneva in senso attivo il problema del sessismo ma ricordo ancora il primo Grrrl Pride alla Villa di Coverciano (1997) dove sono stati creati momenti appositi per discutere ed esplicitare il problema del sessismo presente negli spazi, perché evidentemente c’era una grande urgenza di farlo, una necessità di spostare alcuni aspetti del movimento su un piano più completo e inclusivo. Per non parlare di Atlantide, che nel modo pittoresco che ben ricordiamo ha agito per quasi due decenni costantemente, sensibilizzando chiunque entrasse alla consapevolezza circa lo spazio e i suoi valori, in primis l’antisessismo militante.
Negli anni credo siano stati fatti i conti con quasi tutto, fermo restando che la bolla perfetta, così come la società, non esiste. Poi, dire che il problema sia stato risolto è un altro paio di maniche.
Posso pensare ad alcuni esempi, il più evidente: sminuire le capacità di artiste donne poiché donne o, al contrario, nell’attribuirne il successo alla mera forma dei loro genitali.
Non mi appassiona molto invece la questione relativa al numero di musiciste donne inferiore a quello maschile nel punk (nostrano, almeno), che secondo me è un discorso superato, la trovo una conta ormai obsoleta, soprattutto perché in generale sempre meno gente suona. Negli ultimi 40 anni da quando il punk è esploso la sua musica (fruita o suonata) è diventata via via sempre più accessibile perciò la quantità di donne presenti in band o sopra un palco non è più a mio avviso sintomo di una mancata emancipazione bensì di un variegato sottobosco di interessi femminili che vertono anche su altre discipline (per non parlare poi del fatto che di band giovani e fresche in Italia fatico a vederne, maschili, femminili o di qualunque altra identità). Spesso si usava lo scarso numero di musiciste donne come supporto alla tesi del “palco di cristallo” sopra il quale le donne non riuscissero a salire per colpa di ostracismo maschile. Io lo trovavo invece un ragionamento offensivo, che poteva causare insicurezza o senso di inferiorità in ragazze meno appassionate alla musica suonata (per limiti operativi o semplicemente gusti personali) rispetto ad altre che invece suonavano in un gruppo. Esaurita la carica ideologica adolescenziale, in cui forse con un certo infantilismo e ingenuità posso aver pensato che suonare fosse una mia componente identitaria, crescendo ho sempre più creduto e sostenuto che suonare, per una ragazza, non sia sintomo di nessun tipo di elevazione o emancipazione maggiore rispetto ad altre pratiche: è un hobby, una passione, uno strumento di comunicazione o di lotta come molti altri, come la scrittura, la fotografia, il disegno, sono solo canali diversi. Tutto qua. Se qualcuno mi facesse notare che sto assistendo a un concerto anziché essere sul palco mi sentirei profondamente offesa e discriminata.
Ci sono infiniti hobby, passioni, forme di creatività oltre alla musica. Una delle mostruosità più aberranti mai sentite in ambito “sessismo e musica” è il sempreverde “brave per essere tipe”. Per fortuna non capita spesso ma nel mio caso, suonando la batteria a.k.a. Uno strumento poco convenzionale soprattutto due decadi fa mi è capitato spesso, ora uso la stessa frase verso me stessa quando faccio qualcosa particolarmente bene, in senso ironico ovviamente.
A livello generale e non meramente musicale, sessista può essere stigmatizzare le ragazze monogame esaltando la promiscuità sessuale femminile a tutti i costi, elevare chi si espone in modo esplicito a discapito di chi mantiene un profilo basso (soprattutto social), fraintendere l’autodeterminazione estetica condivisa sui social per esche predatorie verso maschi frustrati che ti broccolano o mandano foto dei loro cazzi nei messaggi privati.
Per rispondervi invece sui “mali” della scena, premettendo che non sono nessuno per pontificare né è la mia intenzione, posso rispondere con alcune mie opinioni personali:

  • la falsa body positivity di certe persone, che invece nasconde ageismo e body shaming velato verso gli altri.
  • il consumo/abuso eccessivo di droghe, diventato ormai plateale, spettacolarizzato, normalizzato, che ammetto mi abbia allontanato da molte situazioni. Lo trovo complice di dinamiche agghiaccianti, rende le persone irriconoscibili e in una parola: stupide. Sono stata adolescente quando ogni settimana mi moriva un amico di eroina, la droga per me è merda. Ho lavorato a lungo in percorsi di prevenzione e recupero, il disagio non mi fa ridere, mi fa piangere. Quelle anime devastate nei bar mi levano la sete.
  • In ultimo, e sempre e solo a mio avviso, la scarsità di gruppi musicali nuovi, giovani, interessanti e dal respiro internazionale come già detto prima.

Radio Punk: Per la nostra visione della vita, non ci interessa fare una distinzione netta tra uomo e donna, ma purtroppo dobbiamo tenerne conto perchè viviamo in una società fortemente binaria. La maggior parte dei progetti vede a loro interno una prevalenza di figure maschili e molte meno donne/persone non binarie, secondo te perchè? Per te è stato difficile crearti uno “spazio” nella scena?

Marzia: ti ho risposto parzialmente sopra quindi prendo solo l’ultima domanda. Per me non è stato difficile, è stato tutto un evolversi naturale. Ho iniziato a suonare punk grazie all’iniziazione da parte del mio amichetto delle medie maschio, non l’ho vissuto come mansplaning, non ci siamo mai posti il problema dei nostri sessi. Eravamo sfigati adolescenti della periferia italiana di inizio anni ’90. Ero l’unica femmina della balotta del mio paese che suonava in un gruppo ma solo perché le altre ragazze facevano sport o danza o non erano interessate alla musica, e a me lo sport e la danza facevano cagare. Quando ho iniziato a uscire in città ho trovato altre ragazze e ci siamo unite perché ci confrontavamo su argomenti comuni, ma ho avuto la fortuna di avere sempre un mix bilanciato di amici maschi, femmine, non binary, pazzi/e, di tutto. Facendo una banalissima analisi prendendo come campione il mio vissuto credo che il numero di femmine fosse inferiore perché (suona medievale ma era così) semplicemente i miei mi facevano uscire meno dei miei amici maschi, e così molte mie amiche. Avendo meno libertà eravamo meno esposte alle possibilità dei maschi che invece già alle medie uscivano quando volevano e suonavano a cadenza frequente. Ci beccavamo alle medie al negozio di dischi e poi in prima superiore potevo andare “in città” ma solo al sabato pomeriggio, dalle 14 alle 19. Come io abbia coltivato le mie passioni mi è tutt’ora un mistero. Ora mi sembra sia diverso e comunque è tutto più accessibile, per me trovare una sala prove fu la cosa più difficile della vita. Ci arrivavo in un’ora di autobus e poi a piedi, un incubo. In conclusione, prima forse c’erano meno ragazze per limiti operativi, ora per interessi di altro tipo che vertono anche verso altre dimensioni rispetto alla musica suonata. Poi devo dire la verità, io osservo un buon mix, da sempre. Ho avuto sia gruppi femminili che gruppi misti ed eravamo spesso molto bilanciati e in buona compagnia.
Mi stupisce piuttosto che ancora non ci siano poc nei gruppi, a spanne ne ricordo un numero che si conta sulle dita di una mano. Mi piacerebbe suonare con persone di una nazionalità diversa dalla mia.
Lo spazio me lo sono guadagnato: frequentavo i posti, mi spostavo, partecipavo e poi, e solo poi, potevo lontanamente pensare di accettare un invito a suonare, che non pioveva dal cielo ma arrivava quando si percepiva la serietà della motivazione alla base del progetto e la sua integrità. Ho dato il sangue sotto forma di coerenza, non credo di aver fatto la differenza nel mondo ma non sono mai cambiata, o sparita e poi ricomparsa. Ho preso parte con costanza a quello che accadeva vicino e lontano da me, con estrema modestia e riconoscenza per tutto quello che ho avuto la fortuna di vivere fino ad oggi, per le persone che mi hanno dato opportunità e spazi per esprimermi, per le dimensioni che mi sono presa, per quelle che ho perso assieme alle persone che ci stavano dentro. Ora tiro un po’ le somme, mi sposto ma solo se c’è qualcosa che davvero mi interessa e soprattutto se è un contesto valido, partecipo sempre ma seleziono di più perché voglio continuare a bagnare con cura le mie radici, e non stancarmi mai di quello che sono. In it for life? Si, nonostante bastoni tra le ruote e spesso bastonate in faccia.

Radio Punk: Quali progetti sono attivi ora e come stanno procedendo? Come stai “sopravvivendo” a questo periodo nefasto per suonare ecc? Pensi che tutto tornerà alla “normalità” e bisogna solo aspettare o ritieni che dovremo trovare nuove strade a livello DIY/punk per far sì che lo spirito continui? E quali eventualmente?

Marzia: quando mi hai fatto la domanda non eravamo ancora all’alba della terza guerra mondiale quindi direi che sopravvivo a questo periodo cercando di tenermi mega occupata. Ho comunque lavorato in dad di brutto e nonostante un po’ più di tempo libero avevo zero ispirazione musicale. Sono stata tutto sommato bene in questi due anni, dal 2020, ma il conto emotivo mi sta un po’ arrivando adesso. Alcuni eventi che mi sono accaduti pesano, molto.
Tagliando corto, ho perso due gruppi e (simbolicamente) anche un paio di persone fondamentali nella mia vita. Ma si tira avanti, nel 2022 finalmente me ne sono fatta una ragione.
Come progetti attivi ad oggi ci sono Horror Vacui (in arrivo una mostruosa release di 6 cassette e un libretto per i nostri primi 10 anni a cura di Improved Sequence), Marthe (che però è un progetto studio, è appena uscito il video del primo singolo e a breve uscirà il disco nuovo), il collettivo Senti Il Richiamo e i Mountain Moon (un quartetto che fa musica da camera ardente sporadica). In cantiere un gruppo nuovo in cui finalmente potrò tornare dietro, sopra, sotto le pelli.
Ora si ricomincia a vedere la normalità per davvero, sicuramente mi sento diversa nei confronti di molte situazioni rispetto a prima ma sono parecchio resiliente e sufficientemente misantropa per sopravvivere bene comunque.
Per quel che concerne lo stato di salute del nostro giro in tempi post pandemici credo le percezioni siano molto soggettive e variano anche da città a città, ultimamente ignoro dinamiche geografiche lontane da me quindi non posso dare nessun giudizio. Tutto sommato vedo in giro o sui social persone cariche, che fanno festa, lottano, organizzano le loro cose, fanno la loro parte, credo siano felici e la scena mi sembra stia bene.
Parlando per me, (e sottolineo, a livello personale) non vi nego, e me ne dispiaccio, che spesso trovo la proposta musicale italiana per quel che riguarda il punk stagnante, poco creativa, banale soprattutto se paragonata ad alcuni stati europei e manco a dirlo America (tutta). A volte, per fare un esempio, oltre a line up di concerti per nulla accattivanti vedo anche dei volantini  orripilanti per gli eventi, senza nessuno sforzo grafico e creativo, quando in passato invece era una pratica molto curata e importante ai fini della comunicazione e dell’appartenenza. Mi piace molto quello che esce da Milano e Trento perché lo trovo spesso fresco e più sperimentale, mentre a livello politico sono un po’ disorientata e stremata da tutti gli strascichi pandemideologici, elucubrazioni sociosanitarie, quindi semplicemente mi faccio molto i cazzi miei, supporto se c’è qualcosa ma sto spesso da sola o nel mio inner circle, come i gatti quando non stanno troppo bene.
Per questo non so come rispondervi alla parte finale della domanda, non ho idee o soluzioni su come si possa mantenere lo spirito. L’idea stessa di spirito è varia, quale spirito? Quello del devasto e della casumananza che va tanto di moda ora? Quello del “capire”? O forse quello dell’impegno militante? Politico? Quello musicale? Per me lo spirito è diventato qualcosa di profondamente intimo, perchè come diceva qualcuno: “togli lo spazio, spezza l’unione, è il modo migliore per farli sparire” quindi non mi riesco più a orientare come prima negli spazi e non ho soluzioni da offrire purtroppo. Nel mio piccolo lo spirito è esserci ancora senza essere sparita, fare le cose in cui credo in modo coerente e costante, essere vigile, partecipare, supportare economicamente e moralmente ciò che ritengo a sua volta coerente e meritevole del mio tempo e contributo. Ma ormai lo spirito per me è anche solo volersi bene tra persone affini e vicine, e rimanere in contatto il più possibile senza perdersi.
Ho collezionato alcune delusioni importanti in questo periodo quindi le soluzioni prima di fornirle agli altri dovrei fornirle a me stessa, ma preferisco un saggio silenzio.

Radio Punk: Hai suonato in millemila contesti e forse ovunque nel mondo. C’è un posto in cui vorresti tantissimo suonare? Che differenze ci sono in giro per il mondo rispetto all’Italia? Tendenzialmente all’estero sono più appassionati? Dove ti sei trovata alla grande a suonare e qual è stato il concerto più assurdo e quale il più bello in cui ti sei trovata?

Marzia: oh si, desideri tantissimi! Posti in cui vorrei suonare ce ne sono infiniti! Dal locale Hana Bi in Romagna fino al Duna Jam (sogno!!!), a Palma di Mallorca, alle Canarie, a Creta, in Corsica (altro sogno impossibile), in una chiesa, nei centri sociali degli anziani, in Islanda, all’Entremuralhas, in una cattedrale, in Marocco, a Cuba, in Giappone, nel sud est asiatico (era in lista con i Kontatto ma abbiamo sempre rimandato troppo), posso andare avanti all’infinito perché se non avessi una lista lunghissima di desideri non farei più nulla dato che significherebbe non avere più obiettivi, invece voglio spostare sempre la destinazione un po’ più avanti anche se ci sono ovviamente dei limiti, di varia natura. Spesso, con i soli mezzi del DIY, non si raggiungono facilmente mete troppo in alto per le possibilità a disposizione e generalmente non chiediamo mai di suonare quindi a meno che invitati non ci proponiamo mai. Inoltre non ho più 20 anni, anche se non ho intenzione di fermarmi, e con tutta la carica del mondo tra poco sarò una cariatide quindi ecco, mi devo muovere. Nel mio piccolo mi sono tolta grandissimi soddisfazioni, ho suonato a tutti i festival punk più belli, la settimana fa ho suonato di spalla ai She Past Away che adoro, sono stata felicissima, vivo per fare queste cose.
Riguardo alle differenze riscontrate in giro per il mondo, credo che in certi luoghi i punk siano più appassionati, in altri siano solo dei flame, in altri ancora siano pesanti come il piombo e in altri ancora senza senso dell’umorismo (fondamentale, sempre).
In America, con tutte le critiche del caso, sono davvero molto appassionati, supportano tantissimo, sia virtualmente condividendo reazioni a concerti o post, sia dal vivo comprando vagonate di merch, dando la mancia alle band in tour. Anche il Messico e la Colombia mi hanno sorpreso, esperienze incredibili e un fermento punk, soprattutto di ragazzi e ragazze giovani, frizzantissimo. Ci sono troppi concerti assurdi da citare, una bella memoria è quando Mario si è cagato addosso durante un concerto dei Kontatto in Repubblica Ceca, quando il Gra ha sboccato il gulash mentre cantava al Play Fast, quando abbiamo suonato in una miniera o in un sala giochi, su un ring, quando ho suonato con le pinne in costume o quando alla batteria ho suonato mangiando, quando i Forca Macabra mi hanno arruolato il giorno prima del loro tour, quando abbiamo suonato su un ring. Non sono una persona che fa cose troppo stravaganti o che vuole colpire mettendosi in mostra sul momento, il meglio lo do nei miei tour diaries che sono contenitori (imbarazzanti) di tutte le esperienze degli ultimi 10-15 anni ma mi dispiace non aver cominciato prima, anche se forse non avrei avuto 20 anni fa la stessa verve e acume narrativo che ho sviluppato negli ultimi 10 sicuramente. Per questo tutti i diari sono IMPRESENTABILI, pieni di gag e satira comprensibile solo a chi c’era. Quando darò l’addio al punk li pubblicherò per poi sparire su qualche isolotto.


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Concerti belli una valanga: Ktown, PlayFast, Manic Relapse, Varning, ma la bellezza dei concerti in Scinti, Atlantide o Al Confino sono (per il momento storico e le affinità del tempo) irripetibili e incisi nel mio cuore.

Radio Punk: Per la rubrica curiosità, ti chiediamo quali sono i tuoi hobby e passioni oltre alla musica!

Marzia: hiking, viaggiare, camminate in montagna, circoli di pietre, luoghi misteriosi da esplorare, urbex, bricolage, edilizia diy, monili autoprodotti, disegno, capoeira, palestra, Batman, i documentari, le storie di calcio e il Milan, Lucarelli e Barbero, moto, motociclismo, mangiare, leggere, ospitate in radio dal Bocha, mitologia, video e audio editing, percussioni tribali acustiche, birimbao, gatti disabili, cucito e riciclo creativo, tsundoku, piante, stampa di fotografie, etimologie, lingue straniere, lingua e cultura dei paesi del Maghreb, mangiare al ristorante, le simmetrie, andare al mare, mettere le ciabatte da maggio a ottobre, mangiare le patate. Poi centinaia di altre stronzate, ora sto costruendo il mio secondo didgeridoo. In ultimo metto il mio lavoro: dopo 15 anni come educatrice in contesti di disagio e devianza giovanile al Pilastro ora lavoro per una scuola di formazione professionale in Bolognina dove posso continuare a supportare giovani adolescenti a rischio abbandono e dispersione nel loro percorso di autonomia. Presente quella storia “scegli il lavoro che ti piace e non lavorerai mai un giorno in vita tua”, ecco, dopo anni di sacrifici, stress e abnegazione ho costruito la mia dimensione perfetta e vedere i loro occhioni ogni mattina, osservarli crescere, diventare indipendenti fa dimenticare tutte le fatiche del lavoro è sicuramente una delle mie passioni più grandi.

I preferiti di Marzia:

album: oddio come si fa??? Wildhoney (Tiamat), Disintegration (Cure), All System Go (One Way System), Chaos AD (Sepultura), Indocrti-nation (Warcollapse), Hammerheart (Bathory), Smell The Magic (L7), Fastidio (Kaos One) poi i classici, i maestri, no vabbè c’è di tutto che mi piace non posso farcela a rispondere in poche righe, mi piacciono pure i Nomadi a me!

Film: al volo così Life Of Bryan, Do the right thing, East is East, The Warriors, L’Odio (La Haine).

Libro: non sono ad oggi una grande lettrice, sono molto affezionata a “Alta Fedeltà” di Nick Hornby.

PS: Ci teniamo a giravi l’intervista a Marthe a cura di Disastro Sonoro, in quanto Marzia ha detto tre cose molto interessanti che avremmo voluto chiederle: ovvero che il black metal le fa cagare e non lo ascolta, che tendenzialmente ascolta poca musica e che è un gran casino portare Marthe in sede live, ma mai dire mai. Trovate l’intervista qui

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