Intervista ai Propagandhi!

Iniziamo l’intervista dicendo che è un grande piacere per noi avervi qui. Prima di tutto, come vi presentereste alle persone che ancora non vi conoscono?
Siamo quattro amanti del divertimento, un po’ stravaganti e sempre all’attacco.

 “Victory Lap”: sono 5 anni che aspettiamo il nuovo album e ci è piaciuto molto. Come è stato pensato questo disco e qual è il suo scopo?
Ottimo, sono contento che vi piaccia.
Dopo il tour per Failed States, abbiamo iniziato a produrre un sacco di materiale nuovo e abbiamo rispolverato idee del passato. Ci siamo tenuti occupati e abbiamo affrontato la questione di cambiare la line-up, che ci ha portati a lavorare con Sulynn. Mentre cercavamo di capire come andare avanti dopo il congedo di Beave, abbiamo continuato a provare le nuove canzoni. Mentre queste prendevano forma, abbiamo deciso di lavorare con lo stesso tecnico di registrazione di Failed States, nonché la stessa persona che ha mixato Supporting Caste. Conoscendo come le registrazioni si sarebbero svolte e come il disco sarebbe uscito, ci ha permesso di produrre un disco di cui siamo parecchio contenti.

Siete sempre stati attivi politicamente, quali sono i temi trattati da “Victory Lap”?
Non posso parlare per Chris e Todd, però penso che le canzoni affrontino una serie di problematiche correlate al fatto che cerchiamo di essere umani in una terrificante società costruita da esseri umani.

Cosa pensi dell’attuale scena punk?
Hmmmm. Suppongo dipenda da cosa intendi. Avendo avuto la possibilità di andare in tour con gruppi tipo RVIVR, War On Women, Iron Chic e La Armada, mi fa pensare che ci siano ancora cose buone in giro. Se ci sono buona musica e buone persone, non c’è bisogno di altro. A me sembra che, più le cose diventino grandi, più peggiorino. Io mi diverto in circostanze più ristrette. Recentemente ho assistito ai concerti di un gruppo messicano e un gruppo cubano che hanno suonato in un piccolo posto come Winnipeg. Il loro stile non faceva del tutto al caso mio, però ho apprezzato molto l’atmosfera e, per questo, mi sono piaciuti. Troppo spesso, quando assisto a concerti più grossi, il tutto sembra preconfezionato, troppo prevedibile e noioso e la noia spesso diventa sprezzo se la musica diventa un semplice mezzo di lucro.

Cerchiamo sempre di seguire e supportare la filosofia D.I.Y, uscendo dalla logica del capitalismo. Quanto può essere difficile per una band famosa e politicamente attiva come voi fare ciò?
Bisogna scendere a molti compromessi, soprattutto quando suoniamo in luoghi più grandi. Generalmente, cerchiamo di evitare situazioni gestite da grosse compagnie, nonostante anche il giro dei locali possa essere una routine difficile. Troppi individui con le mani in pasta, dal governo che trattiene le tasse, alle agenzie di ticketing, alle agenzie alternative che non sono molto meglio di quelle più grosse, alle arene che pretendono una parte del ricavato delle vendite. Noi lavoriamo spesso con brave persone, che vengono dalla scena D.I.Y. e adesso cercano di mantenersi organizzando serate nei locali. Tuttavia c’è molta competizione e sta diventando tutto più difficile, perlomeno nel Nord America.
Quindi, nonostante viviamo e lavoriamo in circostanze capitalistiche, cerchiamo di vendere libri di editori radicali (e.g. AK Press e Fernwood), cerchiamo di dare voce a organizzazioni attiviste durante i concerti e cerchiamo di dare spazio a queste organizzazioni in modo tale che possano divulgare le proprie idee, effettuare raccolte-fondi e confrontarsi con il pubblico. Recentemente abbiamo ospitato Sea Shepherd Society e No One Is Illegal, giusto per fare qualche nome, in aggiunta a gruppi e librerie radicali locali.

Il 6 maggio, 2018, a Trezzo sull’Adda (MI), ci sarà la vostra unica data in Italia, nonché una delle poche in Europa. È tanto che vi aspettiamo, siete contenti di tornare?
Certamente! In Italia ci siamo sempre trovati molto bene e sono entusiasta di suonarci ancora una volta. Speriamo di poter aggiungere altre date per il 2018, ma vedremo.

Cosa ne pensate dei grandi festival e quali sono i concerti in cui preferite suonare?
I grossi festival a cui abbiamo partecipato probabilmente si contano sulle dita di una mano. Cerchiamo di suonare a festival organizzati con fondi pubblici, cercando di evitare quelli gestiti da grosse società. Onestamente non riceviamo molti inviti da questi ultimi. A volte è frustrante quando suoniamo in locali più piccoli e contemporaneamente è in corso qualche festival grosso, perché, ovviamente, il nostro spettacolo ne risente. Per questo motivo, cerchiamo di ridurre il numero di date quando ci sono questi festival. Spero che i festival continuino ad avere successo e che le persone capiscano che gli interessi delle grandi società non sono necessari per garantire spettacoli più piccoli. Ripeto, se la musica deve essere solamente un mezzo di lucro, mi chiedo il motivo per cui partecipiamo sia come gruppo che come fan della musica. Non sopporto questi grandi eventi, sono noiosi!

Cosa ti piace del far parte di un gruppo? Comporre, registrare o andare in tour?
Ci sono alti e bassi in ogni aspetto. Penso sia una sfida accettare tutto, apprezzando anche gli aspetti più tediosi.

Com’è la situazione politica in Canada? Quali sono i problemi principali? C’è qualche collettivo che cerca di migliorare le cose?
“Squallido” è il primo aggettivo che mi viene in mente. La gente sembra prendere per buone le opinioni correnti delle società. Ecco: logica capitalistica con pilota automatico. Il sistema continua a produrre e inquinare il mondo con tanta spazzatura e siamo arrivati al punto in cui il mondo non ce la fa più. Crescita sfrenata e risorse limitate sono una ricetta per un disastro globale. Questo è quello di cui siamo testimoni. Cerco di non perdere le speranze, vedendo che ci sono persone che cercano di combattere in svariati modi, come i popoli delle Prime Nazioni contro l’espansione dei condotti di sabbia bituminosa o come gli Antifa, visto l’attuale clima negli USA e altrove.

Pensate di essere in grado di far riflettere le persone e magari cambiare qualcosa nel mondo con la vostra musica e soprattutto con i vostri testi?
Nulla a livello strutturale, livello in cui sarebbe necessario un cambiato. Comunque, se riuscissimo ad aprire qualche porta alle persone e queste fossero in grado di restituire qualcosa alla scena musicale che mi ha ispirato e sensibilizzato alla politica a metà degli anni ’80, potrei dire che ne sarebbe valsa la pena.

Sappiamo che siete stati molto selettivi nella scelta del chitarrista. Come avete scelto Sulynn Hago?
Lei spacca! Avevamo più di 400 candidati e lei ha dimostrato non solo le sue abilità musicali, ma anche di aver partecipato a lungo alla scena underground del luogo da cui proviene e questo si vede. Inoltre è stato bello poter creare una nuova amicizia!

Come mai il progetto “G7 Welcoming Committee Records” è terminato? Che relazione avete con la Fat Wreck Chords?
G7 è stato un progetto divertente e proficuo, ma ad un certo punto, con l’avvento del mondo digitale e per il fatto che nessuno paghi più per la musica, è stato necessario esplorare nuovi fronti. Era diventato difficile mantenere il progetto, la band e le altre cose che fanno parte della nostra vita.

Dopo questo splendido disco, qual è il futuro dei Propagandhi? Al di là del tour…
Nei prossimi due anni ci focalizzeremo sul tour e sul vivere le nostre vite. Al di là di questo, vedremo come andrà! Per ora, è stato bello uscire e suonare il nuovo materiale; gli spettacoli sono stati fantastici ed è sempre una sfida.

Vogliamo ringraziarvi e congedarci con un’ultima domanda: quale consiglio potreste dare ai nostri lettori?
Non tirate il dito a nessuno…anche se ve lo chiedono gentilmente e con il sorriso!

Intervista a cura di T.S., E.C., J.L.