Minoranze linguistiche e musica impegnata nella penisola e in Sardegna

Primo di una serie di excursus sulla connessione tra lingue minoritarie, musica contemporanea e militanza politica

Alessandra Kersevan, del Canzoniere Popolare di Aiello: “Con il Canzonir abbiamo cominciato a cantare in friulano perché questa era la lingua dei contadini, degli operai, dei partigiani. […] Andando avanti abbiamo capito ancora di più che era la lingua stessa che si trovava in una condizione di schiavitù e che doveva liberarsi. Anche per questo bisognava usarla in musica e nella comunicazione.” (da “La mê lenghe e sune il rock” di Marco Stolfo)

Un giovane marxista friulano ha sintetizzato efficacemente sul settimanale del PCI l’opinione cheuna analisi di classe rigorosa e seriamente storico-materialista non possa “assolutamente ridursi alla pura e semplice contrapposizione astratta tra borghesia e proletariato perché è antistorico e non scientifico, nell’epoca dell’imperialismo, non considerare le categorie di nazionalità e di colonia, oltre naturalmente a tutto ciò che riguarda il femminismo, il rapporto pubblico-privato ecc. La lotta di classe, perciò, va vista come lotta all’interno di nazionalità e nazioni dominate e dominanti, altrimenti si rischia di fare un cattivo servizio alla costruzione del socialismo, che si porterebbe dietro nodi storici non risolti (le nazionalità minoritarie ed oppresse) che facilmente verrebbero strumentalizzati da destra e riproposti come contrapposizioni nazionalistiche [..]” (da “Patria e Matria” di Sergio Salvi)

In generale

Purtroppo la maggior parte delle formazioni che fanno uso di lingue dette “minoritarie” o “locali” non si interessano a utilizzare le note dei propri strumenti come veicolo di cambiamento sociale e si limitano a un recupero folcloristico di pezzi della tradizione popolare dei rispettivi territori. Bisogna però aggiungere che numerosi di questi canti del passato erano vive forme di protesta, che suonati oggi non risultano datati come dovrebbero (la società non è poi progredita come gli intellettuali e i capetti neoliberisti vorrebbero far credere e anzi le più recenti formulazioni legislative di molti Stati vanno a detrimento dei diritti delle fasce più deboli della popolazione). Fatto ancora più importante, la stessa decisione di fare uso di idiomi a lungo vietati e osteggiati dalle istituzioni borghesi e utilizzati dagli strati poveri della popolazione è già un atto di resistenza. Per secoli il colonialismo delle cosiddette “grandi nazioni” ha tentato di estirpare e di distruggere queste lingue, in particolare ma non esclusivamente i regimi più reazionari (basti pensare all’Italia fascista e alla Spagna franchista, ma la democratica Francia ha forse utilizzato metodi migliori nei confronti dei bretoni e dei corsi? E le bacchettate sulle mani a chi parlava in sardo o in friulano a scuola fino a qualche tempo fa?).

A scanso di equivoci, in quanto autore di questo articolo sottolineo il riconoscimento di queste “minoranze” in un quadro che non si rifà a quella visione etnico-localista molto apprezzato dai cacciatori di manifestazioni dei tempi andati e tanto meno a quello del nazionalismo. Innanzitutto, il sottoscritto ritiene un abominio definire minoranze queste popolazioni (i baschi per esempio sarebbero in minoranza rispetto a chi? Ai castigliani? Ma nei Paesi Baschi chi è la minoranza?), in secondo luogo sono veri e propri popoli in lotta per il diritto di autodeterminarsi, al pari dei vietnamiti durante le invasioni francese e statunitense o dei curdi al giorno d’oggi. Il diritto all’autodeterminazione è un principio da ritenersi fondamentale sia per il marxismo (o pensavate che l’Unione Sovietica si fosse costituita in una federazione di repubbliche perché era divertente creare le bandiere di Turkmenistan e Armenia?) che per il movimento anarchico (vedi il sostegno di Bakunin ai movimenti di liberazione slavi o il basco Felix Likianiano, tra i tanti esempi).

Le affermazioni della costituzione dello Stato italiano non ci interessano affatto, frasi come “l’Italia è unica e indivisibile” le riteniamo buffonate scritte da borghesi che con questi territori, popoli e idiomi nella maggioranza dei casi non avevano nulla a che fare. Cos’è poi quest’Italia se non un palinsesto imperialista fondato sul colonialismo a danno dei contadini della Sicilia e del Meridione, che sin dall’unità hanno lottato contro questo stato di cose, dando vita alle prime sollevazioni contro la borghesia post-unitaria (a seguito dell’ovvio tradimento di gran parte dei democratici e dei riformisti di alta estrazione sociale).

Prima di analizzare le situazioni musicali un breve sunto delle lingue storicamente parlate nella penisola (anche se sarebbe interessante un’analisi anche di quelle presenti da tempi più recenti e del loro impatto sulle tradizioni musicali preesistenti). L’italiano in senso stretto al momento dell’unificazione era utilizzato da una ristretta fascia della popolazione ed è stato diffuso con il tramite delle scuole e più tardi della televisione. È aperto un dibattito tra i linguisti sul riconoscimento o meno di quelle identità linguistiche riconosciute dallo Stato come dialetti (si parla di ligure, lombardo, piemontese, veneto, emiliano, romagnolo, siciliano e napoletano, tutte riconosciute dall’UNESCO come idiomi veri e propri in quanto si sono evolute dal latino parallelamente a quello che oggi viene chiamato italiano). La maggior parte delle altre sono indoeuropee e ufficialmente riconosciute e più o meno tutelate. Spesso meno.

Sul lato retoromanzo ci sono il friulano e il ladino dolomitico; in Sardegna la lingua sarda; nel meridione è presente la comunità Arbëreshë, parlata da comunità di origine albanese; diverse parlate di origine germanica oltre al tedesco del Südtirol e di alcune piccole aree del Friuli, come il cimbro, il mocheno e il walser; le isole linguistiche grecaniche del sud; lo sloveno nelle aree di confine e l’antico croato del Molise; il romaní; il catalano nella città di Alghero; occitano in Piemonte e francoprovenzale/arpitano in Valle d’Aosta.
Gran parte delle scene musicali che fanno uso delle lingue succitate fanno riferimento quasi esclusivamente ai toni folcloristici, come già detto. Ma per fortuna diversi artisti sono riusciti ad andare al di là di questo aspetto e numerose sono le formazioni che fanno uso di tonalità più contemporanee (metal, rap, punk, blues, jazz, reggae, dub, elettronica, pop rock, eccetera)

Nel dettaglio

Sardegna

La ricchezza della musica sarda è nota in tutto il mondo ed è stata studiata nelle sue accezioni popolari e storiche da etnomusicologi e antropologi da tutta Europa (Edouard Fouré Caul-Futy e Andreas Fridolin Weis Bentzon tra gli altri) e vanta una sua particolare strumentazione (launeddas, pipiolu, trimpanu, serraggia, eccetera). Al giorno d’oggi formazioni etno-pop e di canto a tenore come gli Istentales non mancano e proliferano. Negli anni Sessanta, a parte i Salis imparentati con gli Stormy Six, è doveroso ricordare il Gruppo Rubanu, che ha introdotto i testi politici all’interno dell’area tenorile a seguito della rivolta di Pratobello (che diede vita a uno dei pezzi sardi di rivolta più conosciuti assieme a “Moderare Procurare”, “Sa lotta di Pratobello”) e all’incontro con niente meno che gli Inti-Illimani. Hanno avuto pure il merito di essere stati il primo gruppo di canto a tenore a fondersi con il jazz sperimentale. Oltre a questi, anche la celebre Maria Carta può essere considerata un’artista impegnata che ha fatto uso della lingua madre e il Canzoniere del Lazio, che ha inciso alcuni pezzi in sardo.

Negli anni Ottanta non sono mancati gruppi hardcore punk nati sulla scia di Crass e Discharge come i P.S.A. (così come non ne mancano oggi), ma gran parte di questi utilizzava l’italiano o l’inglese. Per il combat rock in limba sarda si è dovuta attendere la venuta dei Kenze Neke, punta di diamante della musica militante isolana.
Nati a Siniscola nel 1989, il nome nel dialetto baroniese significa “senza colpa”. Queste parole sono state scelte in memoria di Michele Schirru, anarchico sardo fucilato nel 1931 per aver progettato di uccidere Mussolini, che ordinò di farlo assassinare da un apposito plotone di fascisti isolani. Si sono districati in diverse tematiche come l’antimilitarismo, l’anticolonialismo, l’antifascismo, l’indipendentismo di popoli come baschi e irlandesi, l’immigrazione e la vita del proletariato e sottoproletariato sardo. Ovvia fonte d’ispirazione sono i Clash, e infatti il loro combat rock ha incorporato sonorità di ogni tipo, come il punk, il reggae, il metal, lo ska e la musica tradizionale sarda (compresa la strumentazione, come l’organetto, le launeddas e la trunfa). Diversi loro lavori sono stati pubblicati dalla Gridalo Forte Records (quella della Banda Bassotti) e si sono sviluppati in differenti progetti nel corso del tempo. La prima derivazione è stata quella acustica dei KNA (“Kenzaskra”) nel 2006, nata dalla fusione con un’altra importante formazione rossa e militante come i compaesani Askra, con cui hanno in precedenza diviso un mini-cd. A seguire altri importanti progetti proseguono una storia fatta di musica e militanza, gli Tzoku e i Soberanìa Populare.

Interessante inoltre è la scena hip hop (Balentia, Menhir, Malos Cantores, Sa Razza, Funtana Beat), in cui spiccano per gli argomenti trattati gli Stranos Elementos e Dr. Drer & CRC Posse. I primi più recenti (hanno inciso anche un pezzo antifascista con Acero Moretti), i secondi resistono addirittura dal 1991 (fanno parte di quelle formazioni nate nei cortei e influenzate dalla Onda Rossa Posse, piuttosto che ascoltando la black music o i concerti hip hop). Ad accomunarli l’avversione a uno stato permanente fatto di “bombe e tumori”, l’autoproduzione e il sostegno alle più disparate cause. Da segnalarsi anche l’indipendentista Futta, di Sassari. Altri sommovimenti musicali impegnati recenti sono rappresentati dal reggae/dub di Dr. Boost, il post-folk di Boghes de Bogamundos, lo ska punk reggae senza frontiere dei Rujas Karrera, il punk militante di C4 Combat Rock (che utilizza il sardo soltanto parzialmente al momento, come i primi Kortatu con il basco), gli anarcho punk A Fora De Arrastu e i Keret Korria (ancora punk rosso).
Purtroppo ho riscontrato l’esempio di una band oi! nominalmente indipendentista, ma nella realtà dei fatti affiliata ai neofascisti di CPI. Non ne faccio il nome perché la propaganda reazionaria, anche quando indossa la maschera di presunte velleità artistiche, va eliminata senza se e senza ma.

Nord-Est

Passando al nord-est, i primi vagiti par furlan della resistenza politica in musica sono legati al fenomeno dei canzonieri, ovvero il Canzoniere Friulano e il Canzoniere Popolare di Aiello (o Canzonir di Dael, che annovera anche la ricercatrice Alessandra Kersevan tra i fondatori). I testi anche se in lingua non si rifanno al friulanismo vero e proprio e serpeggiano tra le poesie di Pasolini e del rivoluzionario friulano Giovanni Minut, i diritti sociali, le lotte operaie e contadine, l’emigrazione, l’antifascismo e l’antimilitarismo (molto sentito sia in Sardegna sia in Friuli a causa delle servitù militari presenti in entrambi i luoghi).
Nei primi anni Ottanta compaiono in Friuli i primi gruppi politicizzati punk e sperimentali (Eu’s Arse, Warfare, Detonazione, Soglia del Dolore), mentre negli anni Novanta possiamo trovare un gruppo hardcore punk che canta in friulano, gli Inzirli, e i rappers in marilenghe (come i DLH Posse). Inoltre in questo periodo si sviluppano anche Radio Onde Furlane, il Premi Friûl e la rivista Usmis (vicina al centro sociale autogestito di Udine). Band che si possono considerare analoghe ai Kortatu baschi o ai Kenze Neke purtroppo non ce ne sono. D’altronde in Friuli, è doveroso aggiungere, l’autonomismo organizzato in partiti è sempre stato abbastanza blando, di carattere quasi sempre borghese o addirittura legato alla Lega Nord dei tempi che furono, se non al Front Furlan che ha impronta degna di Forza Nuova per quanto riguarda le politiche sociali (non per nulla è stato fondato da leghisti fuoriusciti dal partito madre), il sardismo invece ha avuto e ha tuttora esempi di organizzazioni che vanno dalla Sinistra vagamente progressista all’estrema sinistra più combattiva (come A Manca Pro S’Indipendentzia o gli anarchici).

In ogni caso, nei Novanta è nato il fenomeno della Gnove musiche furlane, che raccoglieva gruppi tra loro molto diversi. Interessanti in questo senso formazioni patchanka o di folk modernizzato, come la Sedon Salvadie, i Mitili FLK (esponenti di punta della musica friulana; la sigla sta per “Furlan Liberation Kongress”), Bande Tzingare, Kosovni Odpadki, Zuf de Žur (che hanno inciso un disco sulla resistenza partigiana con Ivan Della Mea, Moni Ovadia, Giovanna Marini e Vlado Kreslin), Povolâr Ensemble, Furclap, Lino Straulino (che ha riarrangiato i testi di Victor Jara e collaborato con le organizzazioni di parenti dei desaparecidos argentini) e gli importanti Arbe Garbe. Molte di queste band condividono un’autentica passione per il sud del mondo e la diversità culturale, hanno inciso canzoni contro le servitù militari e la guerra, sulla memoria storica antifascista, ma definirle militanti o underground non è corretto, l’approccio è più simile in molti casi a dei Modena City Ramblers più leggeri o al cantautorato.
Un paio di curiosità: il bluesman (o bluesom) Fabian Riz vanta un pezzo con gli eredi dei Kina, i Frontiera, e i Francis and the Phantoms sono un gruppo darkwave in marilenghe dai testi nichilisti e a sfondo sociale.

Occitania

Anche l’Occitania “italiana” può vantare diverse formazioni molto interessanti, che uniscono le sonorità più tradizionali e medioevali a quelle più moderne (punk, ska, reggae, jazz, eccetera). Lo spirito è spesso combattivo e tra cover live di “Bella ciao” e la vicinanza al movimento No Tav, è inevitabile citare almeno le formazioni più importanti come i Gai Saber, Lou Dalfin, Lou Seriol (dediti all’autoproduzione) e Lou Tapage.

Per quanto riguarda le altre “minoranze” linguistiche, la maggior parte non presenta formazioni interessate alla lotta politica (oppure si dedicano a forme di impegno piuttosto blando), a eccezione del Canzoniere Grecanico Salentino. Al giorno d’oggi non conserva nessuno dei membri originari, ma è stato fondato dalla scrittrice Rina Durante il cui approccio musicale scaturiva in primo luogo da un’esigenza di militanza politica e di denuncia nei confronti della sopraffazione che la classe contadina e operaia aveva subito nel corso della sua esistenza.

Alessio Ecoretti

3 thoughts on “Minoranze linguistiche e musica impegnata nella penisola e in Sardegna

  1. per la Sardegna ci sono da nominare anche i K’e-k’e-m, attivi da oltre 20 anni e che negli ultimi tre album hanno optato per un cantato totalmente in sardo.

  2. Uno un lavoro di carattere ricognitivo e, insieme, uno studio critico interessante della maggior parte del panorama italiano musicale relativo ai luoghi e agli stili specifici di produzione in rapporto con la militanza politica dei protagonisti e dei fruitori.

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  3. Uno un lavoro di carattere ricognitivo e, insieme, uno studio critico interessante della maggior parte del panorama italiano musicale relativo ai luoghi e agli stili specifici di produzione in rapporto con la militanza politica dei protagonisti e dei fruitori.

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