Momento di vuoto
Improvvisa incapacità di pensare chiaramente
Ciao, come stai?
Bene bene, stavo per uscire a fare una corsetta.
…e l’autocertificazione?!
Ma no, non serve per uscire a correre nel quartiere.
Il pensiero di un jogger di Napoli sorpreso a fare una corsa durante il lockdown e malmenato dalla polizia mi balena in testa. Lo scaccio e mi preparo. Metto le scarpe, infilo le cuffie.
Play.
« Percorreremo le vostre autostrade camminando con i nostri piedi scalzi, useremo i nostri corpi per ridisegnare le mappe delle vostre città. Il tempo insieme non ritorna, dammi un bacio ancora, come se fosse l’ultimo… »
La luce abbagliante di un’anomala giornata d’inverno. Il verde degli alberi e il grigio dell’asfalto. Il calore del sole sulla pelle. L’aria sul viso. Per strada le macchine si contano sulle dita di una mano, per alcuni tratti si può persino correre sulla carreggiata. Sui marciapiedi solo poche persone che portano a spasso il cane. Mascherine a coprire il volto e occhiate di sbieco.
« Stessa storia, stesso posto, stesso bar
giù in piazzetta radunati in questa città
la realtà
dei giorni tuoi
per metà
seguendo ogni bizzarra mania
marcando ritti i confini di una grande utopia »
Passo davanti al circolo ARCI di quartiere. Chiuso. Chiuso da ben prima della chiusura dei bar e del lockdown. Chiuso in quanto associazione e non esercizio commerciale. Per alcuni era una seconda casa, per altri semplicemente un bar dove trovarsi a bere con gli amici. Per me molto di più. Il collettivo. Le cene di autofinanziamento. I concerti. Riqualificazione di un quartiere disagiato. Persone. Mi chiedo se riaprirà ancora quando tutto questo sarà finito. L’affitto costa. Le entrate sono inesistenti. L’attesa davanti a noi ancora troppo lunga.
« Occhi tristi mi guardava sorridendo
non aveva paura di morire
era già morto dentro
occhi tristi mi parlava di conquiste
di vite vissute, di guerre mai vinte »
Passo davanti alla casa di un ragazzo morto di recente, durante il lockdown. Non è morto a causa del virus, ma per altri motivi. Non fa differenza. Penso ai genitori. Al funerale a cui nessuno potrà assistere. La madre ha chiesto “ditemi solo cose belle di lui”. È l’unico ricordo che ne conservo signora. Magra consolazione.
« Passo un’altra notte!
ad arrangiar parole e il mondo corre via
passo un’altra notte!
con uno schermo accesso a farmi compagnia
passo un’altra notte!
e forse quelle sbarre non le vedo più
mi restano le angosce!
i sogni e le speranze in un mondo all’ingiù. »
Passo davanti all’ufficio. Chiuso anche questo. Da settimane si fa smartworking. Meglio questo del non avere lavoro, del licenziamento o delle ferie forzate. Meglio questo che andare in fabbrica a lavorare con il rischio del contagio. Meglio così. Non ci si può lamentare. Non ci si deve lamentare.
Torno a casa. L’appartamento in penombra al calare del sole. Rompo il silenzio nel bilocale accendendo la televisione. La pubblicità mi ricorda di lavarmi le mani e non uscire di casa. Spengo e inizio a scrivere, chiamare, videochiamare amici e parenti per sapere come stanno. Scambiare quattro chiacchere. Ridefinire la vicinanza nell’era della comunicazione.
Il pensiero del domani, costretto a casa davanti ad uno schermo, mi balena in testa. Lo scaccio. Domani sera un’altra corsa. Finchè potrò farlo. Finchè non mi toglieranno anche quella.
Non si discutono le misure.
Si applicano e basta.
Per il bene di tutti.
Certo, in passato sono stati fatti degli errori, lo sappiamo, ma ora bisogna stringere i denti. Poi si vedrà. L’eccezzionalità di una situazione di emergenza. Non come la crisi economica del 2008, la bolla del ‘99, il petrolio nel ‘73, Wall Street nel ‘29. Vivere in un costante stato di crisi. In passato sono stati fatti degli errori. Uno di quelli è stato che da quegli errori non abbiamo mai imparato veramente.
Getto uno sguardo attraverso la finestra, dal balcone dell’appartamento di fronte al mio sventola un lenzuolo con la scritta “andrà tutto bene”.
Forse. Forse è già andato tutto male.
Canzoni citate, in ordine:
Kalashnikov Collective – La città dell’ultima paura
Plakkaggio HC – I nostri anni
Knife 49 – Occhi tristi
Madbeat – Durerai stanotte
Pensieri e parole di Karl Punx