Queer punk in Uganda: The author in Uganda in front of a pub

Scontro culturale: Queer punk nella nazione più omofoba del mondo

Queer punk in Uganda: un articolo di Chaos Creation

Quando visitai l’Uganda per la prima volta, nel gennaio del 2011, era per fare del volontariato. Dovevo prendermi cura dei bambini di un orfanotrofio ed insegnare Inglese e matematica in una scuola elementare. Ero reduce dalla fine di una relazione a lungo termine. Le mie prospettive di lavoro sembravano sparire nel cesso più velocemente del mio ultimo rantolo intestinale; ero sempre più al verde. Inoltre, ero perennemente in preda all’alcool perché era l’unica cosa che mi piaceva fare…

Dovevo fuggire ma allo stesso tempo avevo bisogno di fare qualcosa della mia vita; in quel momento, questa era la soluzione.

Sapevo del decreto anti-omosessualità vigente in Uganda ancor prima di partire. Mi sembrava la tipica stronzata di destra, fatta passare da qualche coglione al potere; che alla fine sarebbe stata invalidata. Nelle 7 settimane trascorse tra il decidere se partire o meno ed il salire sull’aereo, mi buttai nel cercare di sapere il più possibile su quello Stato. Nonostante la legge, decisi di partire comunque. Circa a metà del mio soggiorno, un amic* mi inviò un video che era appena andato in onda nel Regno Unito, su BBC3. La connessione in Uganda era terribile e mi ci sarebbero voluti giorni per scaricarlo, quindi decisi di evitare e guardarlo una volta a casa. Ero shockat* dal fatto che la nazione in cui ero appena stat* (e nella quale non vedevo l’ora di tornare) era l’epicentro di tutto quest’odio a sfondo omofobo. Naturalmente pensai; “Beh, hanno decisamente cercato e trovato i più rincoglioniti per questo ‘scoop’”. Mi sto riferendo, ovviamente, al servizio della BBC3 “World’s worst place to be gay?” (t. “Il peggior posto al mondo per essere gay?”) presentato dal DJ di Radio 1 Scott Mills; un uomo gay lui stesso.

Nei successivi 12 mesi, stavo strategicamente pianificando di tirare in piedi una mia organizzazione benefica con il fine di aiutare orfanotrofi e varie comunità in Uganda. Mi ero innamorat* di quella nazione. Ci sarei tornat*. Ho guardato “L’ultimo re di Scozia” innumerevoli volte per sentirmi il più vicin* possibile al posto! Ma avrei affrontato l’omofobia, avrei preferito morire piuttosto che supportare una qualsiasi causa che fosse anche lontanamente omofoba. Dedicavo tutto il mio tempo alla ricerca di info sulla situazione LGBT un Uganda. Tutto quello che trovavo erano casini. Non c’era nessuno a cui dare una mano online, neanche una causa. Quando la condanna potenzialmente è la morte, è comprensibile che la gente non giri sbandierando l’arcobaleno ai quattro venti.

Nel gennaio del 2012 tornai ed immediatamente notai una straordinaria differenza nel posto. Forse perché i miei occhi si erano aperti a riuscivo a vedere oltre alle stronzate. Chi lo sa.

Uno dei miei primi incontri con l’omofobia fu nell’ostello in cui alloggiavo. Avevo fatto amicizia con una delle donne che lavoravano lì. Ci trovammo a parlare e le chiesi se le sarebbe piaciuto andare a cena insieme l’indomani. Nonostante il suo tentativo di portarmi nel ristorante più costoso di Kampala, (un fatto che scoprii solo la sera stessa), ci demmo appuntamento in un Irish pub chiamato Bubbles per le classiche quattro chiacchiere da pub. Era la mia prima vera occasione, così le chiesi cosa ne pensava della legge anti-omosessualità. Fece di tutto per cercare di non rispondermi. Dall’andazzo della conversazione mi parve che lo staff dell’ostello ne aveva sentite di tutti i colori dai turisti che si lamentavano della legge, al punto da non volerne più parlare… tanto meno discuterne. Non mi dava nessuna risposta. Tutto ciò che riuscii a cavarne fu “Gesù qui, Gesù lì, eccetera”. Il classico discorso che ti aspetti da una persona a cui manca l’abilità di pensare per se stessa. Così le dissi chiaramente: “Sono bisessuale, è un problema per te?”. Dopo averle dovuto spiegare cosa significa bisessuale, mi rispose con la domanda più strana che mi è mai stata posta riguardo alla mia sessualità. Tutt’oggi mi blocco ogni volta che mi torna in mente. Mi prese la mano e disse: “E perché non cambi? Puoi cambiare”.

Mi ci vollero un paio di secondi per assimilarla. I sentimenti contrastanti di sdegno, shock completo ed il sempre presente senso di colpa; che fu subito rimpiazzato da puro orgoglio. Le chiesi perché dovrei cambiare ed osservai il suo bigottismo sgorgare a fiotti come sangue da una ferita. Dopo una mezz’oretta delle solite cazzate su Dio che ignoravano completamente il mio ateismo, mi arresi e le dissi che avremmo dovuto concludere lì l’uscita. Andai al bar per buttare giù una vodka veloce e fumarmi un paio di sigarette, cercando di scrollarmi di dosso i residui di rabbia ed indignazione. A quanto pare insultarmi non era abbastanza, venne al bar a cercarmi. Apparentemente il mio “Questo appuntamento è finito, dovresti andare a casa o fare altro ma lasciami in pace, non ti voglio più vedere” non era stato abbastanza chiaro. Mi chiese i soldi per il taxi che l’avrebbe portata a casa, e vi lascio immaginare quali siano state le mie ultime parole quella sera.

Un paio di giorni dopo mi instradai verso la città di Masaka; circa 130 chilometri a sud-ovest di Kampala. Alloggiavo lì l’anno precedente ed ero discretamente familiare con il posto. É una città relativamente piccola, con una popolazione di circa 75000 abitanti. Molto più tranquilla dei 2 milioni e rotti di Kampala. Mi incontrai con un amico che mi aveva offerto una sistemazione per un paio di settimane mentre finivo di allestire la mia organizzazione di beneficenza. I suoi progetti per la comunità includevano biblioteche e piccole banche locali per i prestiti che servivano a finanziare la costruzione di strutture in loco. Si era pure inventato degli apparecchi per ‘raccogliere’ i gas naturali delle fattorie, ed usarli in seguito nei fornelli per cucinare. Quest’uomo è (e lo rimane tutt’oggi), nella mia mente; un Santo. Si alzava presto tutti i giorni per insegnare alle classi e stava sveglio fino a tardi per lavorare ai suoi progetti. La sua paga è scarna e vive la vita in modo essenziale. L’ultimo rimasto di UNDICI tra fratelli e sorelle, ha una determinazione davvero invidiabile. Mi fece davvero piacere scoprire che non ha nessun pregiudizio sull’orientamento sessuale (anzi, era molto curioso e mi fece mille domande sull’argomento. In realtà credo possa essere queer anche lui). Per qualche tempo, era rimasto l’ultima spalla su cui potevo appoggiarmi.

Nelle settimane a venire, le mie interazioni sociali con la gente del posto diminuirono. Cercavo sempre di porre domande sulla legge senza mai tirarmi indietro dal parlarne come mi sentivo di aver fatto l’anno prima. Cosa di cui mi vergogno molto. Ogni settimana sentivo di esser pres* sempre meno sul serio, dopo ciò che avevo apertamente confessato. Gli Ugandesi hanno questo modo di ghignare e sorridere con tono sbeffeggiante quando sono nel mezzo di una conversazione seria con qualcuno e si sentono inamovibilmente dalla parte della ragione, anche quando non lo sono. Mentre si comportano così, l’altra persona è spesso visibilmente in difficoltà o giù di morale. Per usare un eufemismo, fa incazzare tantissimo. E mi sentivo come se avessi comunque a che fare con la gente migliore. Queste conversazioni avvenivano con persone che lavoravano per l’associazione benefica di quest’uomo, e che quindi avevano già probabilmente avuto la stessa conversazione con altri stranieri che arrivavano lì per fare del volontariato, lamentandosi della legge nel frattempo. Con il tempo mi resi conto che avevo ragione.
Qualche settimana dopo riuscii finalmente a ricollocarmi nel progetto con il quale avevo lavorato l’anno prima in un villaggio appena fuori Masaka, chiamato Bakunda. In una stanza colma di blatte decorata dal rumore dei ratti in soffitta mentre cerchi di dormire; non il posto più accogliente del mondo, ma sicuramente un letto per la notte, o per tre settimane… a conti fatti. Il proprietario di questo specifico orfanotrofio è (tutt’ora dimostrato) un inutile ed avido bastardo. È LGBT dichiarato in tutti gli Stati a quanto pare, ad eccezione dell’Uganda; ragion per cui non farò il nome di questa testa di cazzo. Arrivò con un paio di giorni d’anticipo rispetto a me, di ritorno dall’America nella quale era in tour da circa un annetto. Questo ex-reverendo offriva sermoni a chiese ed università da una parte all’altra degli States per letteralmente migliaia di dollari a sessione. A volte fino a 5 o 6 giorni a settimana, per 11 mesi. In caso non ne foste al corrente, il tasso di conversione in Uganda è incredibilmente basso. Si potrebbe tranquillamente vivere un anno in pieno comfort con 3500/4000 euro. Senza problemi. Ed intendo uscire la sera, tre pasti al giorno ed affitto se si trova il posto giusto, magari in offerta. I bambini di cui si ‘prende cura’ bevono acqua sporca, si vestono di stracci e spesso non possono andare a scuola perché lui non copre le spese (nonostante sia proprietario lui stesso di una cazzo di scuola). Dormono su materassi macchiati di piscio nonostante li abbia cambiati io stess* l’anno prima. Saltò fuori che i materassi nuovi furono spediti alla sua scuola in quanto si rese conto che poteva fare molti più soldi affiliandoci dei dormitori.
Alla fine, abbiamo discusso di tutto questo ed ho deciso di prendere un’altra strada. Prima di andare però, ho avuto modo di confrontarmi con lui sui diritti LGBT in Uganda. Anche dopo aver confessato la mia sessualità non era del tutto entusiasta di parlarne, nonostante il suo orientamento sessuale ed il fatto che i suoi sermoni in cui giustifica relazioni dello stesso sesso siano spiattellati su tutto internet. Si merita un minimo di lode per il suo lavoro all’interno della community LGBT, nonostante nessuno ne sia a conoscenza nel suo Stato (molto probabilmente sarebbe un emarginato se lo sapessero). Questa persona riceve un sacco di rispetto all’interno della comunità che lo circonda grazie al suo lavoro; la scuola e l’orfanotrofio. Tuttavia questi non sono nulla in confronto al lusso delle case che possiede, delle macchine che guida e dei pasti che consuma. È il classico esempio della persona ricca che non è disposta a sacrificare neanche un centesimo per migliorare la vita a chi sta peggio di lui.
Mentre ero nel bar locale una sera, affogando i problemi nell’alcol con il mio compare George (l’alcolizzato cronico locale con un braccio monco che consegna acqua sporca per vivere, che caso vuole non è omofobo), fui affrontat* da un uomo del posto a cui già sapevo non andassero molto a genio i mzungus (persone bianche). Aveva origliato il mio discorso con George, che suppongo fosse sulla legge, ed iniziò ad urlarmi contro. Ma questa volta era diverso. Non aveva mai menzionato la bibbia in quella sua sfuriata. Questa volta era puro odio. Ci prendemmo a parole ed insulti finché la proprietaria del bar intervenne per scaraventarlo fuori, in quanto troppo ubriaco. Roberta (la cui casa era il bar stesso) masticava poco l’inglese ma riconobbe che l’uomo era nella sua lista nera di anti-mzungus e lo sbatté fuori una volta per tutte. Neanche i suoi amici però erano particolarmente entusiasti della mia presenza, tuttavia quella sera la decisione tra bevute ed odio omofobo fu vinta dalla sete, e rimasero semplicemente seduti a fissarmi male. Avendo ingerito io stess* un paio di drink (non ero ubriac*, solo brill*) decisi di adottare la filosofia del “che si fottano”. Fu solo quando iniziai a smaltire la sbornia che mi resi conto che i quattrocento metri di buio pesto che mi separavano da casa mi avrebbero res* una preda facile. Vi ricordo che era passato appena un anno dall’omicidio di David Kato (un attivista per i diritti gay, e primo uomo pubblicamente dichiaratosi gay nella storia dell’Uganda), che fu martoriato con un martello nel suo letto. Come minimo mi avrebbero aperto la testa ed, onestamente; ripensando alla situazione, l’unica cosa che potrebbe averli fermati è il fatto che non ero del posto. Lo fossi stat*, suppongo che con il tempo sarei stat* inevitabilmente attaccat*. Potrebbe sembrarvi tutto eccessivamente drammatico, ma ho impresso lo sguardo negli occhi di quegli uomini, e penso che neanche sapessero fossi queer, mi avevano solo sentit* screditare la legge e quello fu abbastanza per farli incazzare.
Dopo essermi separat* dal villaggio di Bukunda mi restava una settimana da ammazzare prima di tornare a casa. Visitai un paio di beneficenze e feci il più possibile nel poco tempo che mi restava, ma a quel punto il mio spirito era a tutti gli effetti stracciato. Stava diventando sempre più chiaro che riempire di soldi questi progetti benefici non sarebbe servito a nulla in quanto gli stessi problemi sarebbero comunque sorti ed il circolo di povertà semplicemente non accennava a fermarsi o a migliorare. Stavo bevendo con un ragazzo che conobbi l’anno prima, sapeva di me e non gli dava problemi, anche se il suo atteggiamento si poteva collegare al fatto che gli pagavo la maggior parte dei drink. Per una sterlina a bottiglia non mi importava molto. Lavorava per strada. In pratica, aspettava fuori dalle zone commerciali e la gente lo approcciava in cerca di un particolare materiale o vestito o quant’altro. Invece che cercare loro stessi, era lui a girarsi i vari negozi in cerca degli oggetti richiesti. A volte viaggiava fino a Kampala per trovarli. Una professione particolare, ma che lo sfamava. Lo incontrai nelle strade con due altri ragazzi; i suoi amici/colleghi o qualcosa del genere, ed uno di loro disse una cosa simile a “Ecco il tuo fidanzato” con tono sarcastico. Quei due avranno avuto dai 19 ai 20 anni massimo. Lo squadrai con lo sguardo per fargli capire che l’avevo sentito, e che continuare sarebbe stato offensivo. Entrambi ricambiarono con un’occhiataccia prima che il mio amico mi portasse via e la faccenda si sistemò da sola. A quanto pare, l’odio circolava in tutte le fasce d’età.
Prima di rintanarmi l’ultima notte, parlai in modo generico della mia esperienza in Uganda con i proprietari dell’hotel in cui alloggiavo, a Kampala. Una copia di tedeschi, con origini indiane. Vivevano lì da ormai qualche anno. Ogni tanto, passando di fianco alla loro stanza con la porta socchiusa, si intravedevano vestiti appesi per tutte le pareti ed uno di loro sdraiato nel letto. Erano ormai in quell’età in cui semplicemente non te ne frega più un cazzo. Stavano insieme da circa 40 anni, se ricordo correttamente. Quindi il motivo per cui scelsero di vivere in Uganda non lo saprò mai. Avrei davvero dovuto chiedere. Di tanto in tanto si piazzavano in reception, davanti alla TV; uno con la mano sul ginocchio dell’altro, entrambi con il bastone per camminare. Era una visione in netto contrasto con tutto ciò che avevo vissuto attorno a me in quel periodo perché in fin dei conti, erano nemici dello Stato. Erano una coppia gay.

Note: Ho cercato di ricomporre alcune esperienze negative nel modo migliore possibile. Voglio che per favore sia chiaro che ogni situazione nella quale mi sono ficcat*, escludendo gli attacchi verbali al bar nel quale mi sono semplicemente difes*, l’ho fatto nel modo più pacifico e sicuro possibile. L’obiettivo non è mai stato di crearsi dei nemici, ma di stringere amicizie e dimostrare che essere LGBT è una cosa più che naturale nella vita, in quanto in Uganda siamo visti come il male. La sola cosa che mi imposi fu di aiutare, non di seminare odio, e lo feci fino a quando mi fu umanamente possibile.
Ci tengo a precisare che ogni nome è stato o omesso, o cambiato per proteggere l’identità delle persone in Uganda dal loro governo.

Articolo originale di Greg Chaos – Chaos Creation, tradotto da Teo.

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