razzapparte discografia

Quando capiremo i Razzapparte

Ovvero: abbiamo messo sul piedistallo, a volte, gente che ci ha raccontato le quattro banalità che volevamo sentire. Una discografia polemizzata.

Se quella skinhead è la più incompresa tra le sottoculture, i Razzapparte sono certamente la più incompresa tra le skinhead/oi! band, compressa e sofferente entro gli argini di un genere più volte sorpassato, ma mai rinnegato. 

Nel 1999, quattro anni dopo la genesi, il 7 pollici “Gente senza poesia” lasciava presagire, per i più svegli, una linea di stile ben precisa. Il suono era ruvido ma ordinato, alcuni passaggi di testo evocavano immagini vivide (Crocifissi nelle strade / di quartieri abbandonati), e poi il titolo: “Gente senza poesia”. Non “Guerrieri Oi!” o “Birra e strade”. Gente senza POESIA. 

2003. “Servi o ribelli” arriva come pioggia fredda sul letto polveroso del fiume. Violento, campanilistico, politico, ma ironico, quotidiano, giovane. 

Io e i miei migliori amici avremmo scaricato la batteria della macchina piuttosto che smettere di ascoltarlo. “Il posto dove vivo”, “Città dei morti”, “ Un’altra notte”: eravamo noi, non c’era dubbio. Quel sound, caldo sotto la sua crosta rugginosa, omogeneo. E’ così difficile restare in piedi, sai

E poi la title track, arrivata in anni in cui nelle strade si combatteva una guerra dura, una caccia spietata, dove le spille scintillavano come medaglie, e lo stupido colore dei lacci degli anfibi poteva tradirti ad ogni passo. 

Quattro anni non sono molti per consumare un disco come questo e, proprio quando iniziava a smagnetizzarsi, viene fuori “Il drago e il leone”, un capolavoro assoluto e incompreso, almeno all’inizio, quando se ne parlava ai concerti e i ragazzi erano sconvolti, alcuni non capivano, altri lo rifiutavano (l’avrebbero compreso poi). 

Un disco complesso, organizzato da un macro-tema espresso nel titolo, spiegato nel booklet e scomposto nei brani: l’atavica lotta tra l’uomo ed il potere, che come un finto drago può essere colpito a morte, “scoprendone così la fragilità e, con l’uscire del sangue, l’intima umanità.” 

Se in questo disco l’amore per le sottoculture rimane forte (Casuals, l’Oi! È vivo), si fa spazio una diramazione sulla sacrosanta critica alla propria stessa scena (Ribelli del weekend, non voglio lezioni) ed a testi che parlano di vita vera, troppo vera, erranti in territori inesplorati dal genere, come il rapporto uomo/donna nel contesto di una vita difficile, con velati ma incisivi riferimenti, anche sessuali (Solitudine, Su di te). 

Nel 2010 i Razzapparte, al netto di cambi irrequieti di formazione ma recante saldo in testa il fondatore Flavio, si spinge ancora oltre, realizzando un disco come “Briganti”, un album che spiazza a partire dalla colorata copertina dell’artista messicano CHema Skandal, ai soliti innovativi temi trattati fino alle incursioni dub dei tre pezzi finali, remixati come le version dei vecchi singoli giamaicani. Reazioni? Panico. vi assicuro che nell’ambiente fece un sacco di rumore: ma come al solito i più aperti, a tempo debito, compresero.

Era forse tempo e voglia di tornare un poco alle origini? Tuscia Oi! mini CD, fuori lo stesso anno sempre con lo zampino di Christian Bolzoni di Anfibio Records, che sempre ha confidato nel gruppo, controbilancia la follia di “Briganti” con un briciolo di vecchie sane abitudini, streetpunk duro e puro con slanci tematici protesi all’immarcescibile amore dei ragazzi per la storia del proprio territorio. 

Con “Brucia!” Del 2015 arriviamo al momentaneo epilogo della principale discografia dei Razzapparte. E’ secondo me un eccellente disco su cui non entro in intriganti dettagli per questione di conflitto di interessi, datosi il fatto che la mia Folk Beat Vendetta compare tra i produttori. 

In conclusione, i Razzapparte sono stati finora un gruppo poliedrico, colto, in vena di sperimentazioni ardite (considerando il genere di partenza). 

Un gruppo che ha saputo creare un contraddittorio tra il pubblico (ci sarebbe qualche storia da raccontare, ma non lo faremo) , sia in termini di percorsi musicali che di testi: questo è quello che può capitare quando vai a parlare della vita vera con chi la vita vera la vive.  

Per quello che riguarda me, al netto di vent’anni di assiduo ascolto, credo che la storia (nostra) restituirà loro ciò che a volte gli ha negato in carriera

Articolo a cura di Path

Credit photo Michela Midossi

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