Recensione: Egestas – Oltre Le Rovine

Egestas, un lungo viaggio oltre le rovine

Chi ha detto che bisogna avere una meta per intraprendere un viaggio?
A volte l’urgenza di mettersi in cammino è più forte della mancanza di prospettive, a volte la necessità di porsi domande va oltre la mancanza di risposte.
Chi si ferma è perduto, ma chi non si è mai mosso lo è doppiamente.
In un travaglio tra i meandri più oscuri della coscienza e della natura umana, gli Egestas ci raccontano un’umanità ormai ridotta a macerie, una realtà cupa, caotica, crudele.
“Siamo in molti miliardi di troppo a chiedere il paradiso in terra, ma è l’inferno quello che rendiamo inevitabile…” recita la voce nell’incipit (citando lo scrittore francese Albert Caraco).
Ma quello della band bolognese è anche un tentativo di cercare un’alternativa, una via di fuga, una strada che ci porti oltre le rovine di un mondo ormai distrutto.
Mescolando sapientemente il sound violento e furioso del death/black metal e dell’hardcore con le atmosfere sospese e rarefatte del post hardcore, i cinque brani del disco oscillano tra melodie solenni, dal fascino quasi sacrale, e scariche rapide e rabbiose, inframmezzate da lunghe e lente pause narrative e strumentali.
Sicuramente non si tratta di un album semplice da decifrare, le sue sfaccettature sono numerose e richiedono diversi ascolti per poterle cogliere appieno, ma è anche un lavoro davvero incredibile di suoni, parole, rumori, magistralmente combinati e stratificati tra loro.
Un viaggio lungo, tortuoso, doloroso, ma che alla fine regala quel barlume di ottimismo necessario per andare avanti.

Io non morirò
Ho molta paura
La luce mi acceca
Ma io ce la farò
Oltre le rovine
Io non morirò