Recensione: Teenage Bubblegums – In Limbo

L’arrendevole certezza della disperazione

Ognuno nella propria vita ha sperimentato un sentimento di spaesata incertezza, sia per questioni che poi, crescendo, ricordiamo quasi con un sorriso, come per esempio l’attesa tra un esame e l’affissione dei voti fuori da scuola (con un sorriso un cazzo, ho sognato da poco di ripetere la quinta liceo ed è stato uno dei miei peggiori incubi), ma anche per vicissitudini serie; un amore lasciato in sospeso o l’attesa nella sala d’aspetto di un ospedale. Questo è il limbo, per nulla biblico ma assolutamente terreno in cui i Teenage Bubblegums ci accompagnano, restando dietro di noi, mentre osserviamo la nebbia verdognola di questa stanza senza pareti, finché, quando ci giriamo per chiedere ad Ally e soci di riportarci a casa, ci rendiamo conto che se ne sono andati, lasciandoci sospesi a fare i conti con il nostro limbo personale.

Fino a questo terzo (e a quanto pare discusso) terzo capitolo, il terzetto di Forlì non mi aveva mai detto molto, punk rock spedito, canzoni da “unminutoerotti” semplici e dirette: non disprezzo il genere ma per conquistarmi ci vuole qualcosa di più. E quel qualcosa è arrivato con In Limbo, appena uscito in CD e Vinile per la celeberrima Monster Zero, 10 tracce cupe, con la chitarra a farla da padrona fin da subito: intro funereo che si chiude con una risata beffarda ed apre alla rapidissima Quit it e segue con Burn caratterizzata dall’aternanza (che si ripeterà per tutto il disco) di voce maschile e femminile. Il Riff d’apertura di How I Feel è il migliore del disco, insieme all’intro semplice ma efficace della nona traccia Shame. Nella title track le voci all’unisono ci chiedono Can you hear me? Ed è l’incomunicabilità a caratterizzare i brani, insieme al senso di soffocamento (mi soffochi con una busta di plastica per citare Never Again) ed il costante tentativo di spiegare quello che si prova e che c’è dentro di noi, senza però mai riuscire veramente a tirare fuori qualcosa di concreto. Si percepisce la rabbia nelle chitarre ma il tutto è sempre controbilanciato dall’arrendevole freddezza delle voci che non si sbilanciano mai, restando sempre controllate. Forse è questo l’unico punto debole di quest’ottimo album, vocalmente risulta un po’ piatto, specialmente nel finale (vedi la conclusione del ritornello di Shame) in cui avrei gradito sentire le voci salire e graffiarsi un po’. Osare di più vocalmente e lasciare spazio all’emotività (magari qualche urlo di Ally sarebbe interessante) avrebbe sia reso migliore il lavoro dl punto di vista estetico che concettuale, uno sfogo rabbioso per provare ad uscire dalla palude di questo Limbo cupo e sordo.

Album comunque ampiamente promosso, l’ho dovuto recensire ascoltandolo in digitale ma ho già ordinato il vinile, che consiglio senza dubbio ai lettori di Radio Punk. Ho letto qualche recensione che criticava la “presa male” di In Limbo, considerazione che trovo ridicola e che non penso possa influenzare una buona recensione: gli stati d’animo sono molti e mutevoli e così dev’essere la musica che ascoltiamo, probabilmente non è l’album che ascolterei a tutto volume in auto tornando a casa dopo aver ricevuto un aumento in ufficio, ma di certo non tutti i giorni sento il desiderio di ascoltare canzoni alla “I wanna party”. Siate musicalmente onnivori, abbiamo bisogno di biodiverstà per non andare incontro alla monotonia sonora che ad oggi sembra concreta e dietro l’angolo.

Nick Northern