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Tales from the Distro (Ep. Pilota): C4 – La Provincia Odia

Nella nostra nuova rubrica “Tales From The Distro”, vi parleremo della nostra co-produzione C4 – La Provincia Odia e faremo una chiacchierata con la band

Tales From The Distro parte abbomba con una band che amiamo a dir poco, i C4. Questa nuova rubrica ha l’intento di parlare delle nostre nuove produzioni, ma non più tramite recensioni, ma tramite questo nuovo format in cui presentiamo brevemente il disco, intervistiamo la band e vi lasciamo qualche link in cui leggere delle recensioni fatte da altre ‘zine. 

Questo 7” uscito il 16 febbraio ‘21 contiene quattro tracce, lato A in sardo, lato B in italiano e si intitola “La Provincia Odia”. A livello di artwork, la copertina raffigura un tarocco con la torre di Mariano sita in Piazza Roma a Oristano ed è disegnata da Michele Mureddu e le grafiche sono curate da Roberto Lai, batterista del quartetto. Registrazione, mix e master sono a cura di Federico Cocco presso lo Tzilleri Studio di Fast ‘n’ Loud Records. 

Cosa ci ha spinto a co-produrre questo disco? Dopo averli visti dal vivo a Firenze, siamo entrati subito in amicizia tra cicchetti e chiacchiere post-concerto e ci è capitato tra le mani il loro album in CD “Disterru e Catenas” (recuperatevelo! lo abbiamo recensito qui) ed è diventato uno dei nostri album preferiti in assoluto, tanto che non abbiamo perso occasione per ribadire ai piccius che qualsiasi cosa avessero fatto in futuro ci saremmo stati. E così è stato! Insieme ad altri co-produttori quali Rumagna Sgroza, Fire and Flames Music, Sirboni Records, Ostia Records, Fast ‘n’ Loud e Tifiamo Rivolta abbiamo dato luce a questo disco, col solito prezioso aiuto tecnico del buon Robertò.

Il loro street punk molto accaccì a tratti è potentissimo, orecchiabile al punto giusto senza mai essere stucchevole ed ha quella cosa che è fondamentale in una band, avere la propria identità: nonostante il genere possa portare a fare qualcosa di già sentito, dalle prime battute si distinguono subito. I testi poi sono diretti, sinceri, trasudano di amore per la propria terra e orgoglio proletario e contengono alcune sciccherie tipo il rip-off di “oggi è il grande giorno la rivolta è cominciata…” in sardo sul bridge di “Biddas Scarèscias”.

Note per i non sardi: “Sambini a sòi” significa “sangue al sole”, “Biddas Scarèscias” “paesi dimenticati”.

Vi lasciamo alla nostra chiacchierata con la band e di seguito potrete trovare alcuni articoli di altre ‘zine che parlano dei C4!

TALES FROM THE DISTRO – INTERVISTA AI C4:

Radio Punk: Ciao ragazzi, benvenuti! Raccontateci un po’ da dove venite, in che luoghi e contesti sociali e politici vi formate, come vi evolvete e cosa è cambiato rispetto a quando avete iniziato?

C4: Ciao! Tutti noi veniamo dalla provincia di Oristano, nella zona centro ovest della Sardegna. La realtà di provincia è quella comune un po’ a ovunque, nel nostro caso forse è un po’ amplificata dal fatto che il nostro capoluogo di riferimento (Oristano appunto) in realtà è semplicemente un paese un po’ più grande più che una città, contando poco più di 35 mila abitanti. C’era poco e nulla diciamo, ed è cambiato molto poco. Ci siamo formati nel 2006 proprio per combattere questo nulla. Erano tempi in cui tanti ragazzi iniziavano a suonare e per quanto il punk fosse decisamente minoritario, c’era un bel giro di band con cui confrontarsi. Abbiamo tenuto duro fino al 2012, pubblicando anche un album, Congestione mentale, poi per cause di forza maggiore abbiamo messo in stop la band e ci siamo dedicati ad altro. Nel 2016 abbiamo rimesso su i C4 giusto per fare qualche concerto, ma alla fine siamo ancora qui.

Radio Punk: Parlando dell’album, come mai la scelta di cantare metà in sardo e metà in italiano e non tutto in una lingua? Pensate possa essere un limite per l’estero o anzi, un punto di forza?

C4: Questo era un tema molto discusso in Sardegna, almeno fino a un po’ di tempo fa. Cantare in sardo per molti è limitante, perchè si ritiene che il bacino di riferimento naturale per la Sardegna debba essere l’Italia. In realtà per uno che viene dalla nostra Isola e non ha contatti, le difficoltà per suonare in Italia piuttosto che in Spagna o in Francia sono le stesse, a prescindere da come o cosa canti. E sappiamo bene che comunque anche per chi canta in italiano riuscire ad avere seguito in Europa non è semplice. A noi è sempre suonata come la solita supercazzola da autoghettizzati. Per quella che è la nostra piccola esperienza, tanto in Italia quanto all’estero i nostri pezzi in Sardo sono i più apprezzati. Per molti è vista come una cosa particolare che fanno in pochi. In Sardegna invece c’è una fetta di ascoltatori, non per forza punk, che ama sentire musica fatta in sardo, dal rap all’HC al reggae.

Noi lo facciamo senza fare troppi calcoli. Certe cose scritte in sardo hanno un valore particolare e una chiave comunicativa specifica. Il sardo oggi rimane la lingua del popolo, delle campagne, dei bar e dei lavoratori. Per questo alcuni la vedono come una lingua grezza. Ridargli valore attraverso la musica è uno dei nostri punti fissi ormai, e cercheremo di fare sempre più pezzi in sardo.

Radio Punk: Siccome anche l’occhio vuole la sua parte mo parliamo un po’ della copertina. E qui più che un’intervista diventa un’interrogazione di storia. Perchè la scelta della Torre di Mariano? Che significato ha per voi oltre al fatto che è un simbolo della vostra zona?

C4: Un tempo Oristano (Aristanis) era la capitale del giudicato di Arborea, che a un certo punto aveva raccolto sotto di se quasi tutto il territorio dell’isola, creando quello che ancora viene ricordato come l’effettivo autogoverno indipendente della Sardegna. Sulla torre spicca il simbolo del giudicato, l’albero deradicato, che ancora oggi viene utilizzato come simbolo della città, ed è un autentico feticcio per i movimenti indipendentisti sardi. Nella cover del disco facciamo colpire la torre da un fulmine, ma in realtà ci siamo tutti molto affezionati, anche perchè è uno dei pochi simboli di quell’epoca ben tenuti che ci sono rimasti.

La cover prende spunto dal XVI arcano dei tarocchi, non che siamo degli appassionati. Volevamo una copertina che rappresentasse il posto da cui veniamo in maniera dissacrante, così come facciamo nelle nostre canzoni.

Radio Punk: Dai testi è evidente la connotazione politica, quindi chiedervi quanto è importante è piuttosto banale. Invece, ci piacerebbe chiedervi qualcosa sulla questione sarda di indipendentismo. Quanto è sentita a livello di “sardo medio”? Spesso indipendentismo diviene sinonimo di qualcosa riconducibile a destra, invece guardando ai baschi, catalani e bretoni per fare qualche esempio viene subito smontata questa tesi. Voi cosa ne pensate? Fate finta di dover spiegare a qualcuno perchè rivendicare la propria terra, lingua, cultura e tradizioni invece siano in netto contrasto con chi dice che è “roba da fasci”…

C4: È corretto fare una distinzione tra ciò che è il senso di appartenenza e il movimento indipendentista in Sardegna. Il “sentirsi sardo”, isolano, diverso e staccato dall’Italia è un sentimento comune tra la gente. Tutto ciò non riesce ad avere una effettiva traduzione in termini né di movimentismo, né di partitocrazia. La lotta per l’autodeterminazione ha fasi di alti e bassi, ma è lontana dal riuscire a catturare una attenzione generale, complici anni di repressione culturale e politica, esaltazione dello stato centrale, riduzione in miseria dell’isola, clientelismo eccetera.

In Italia la parola nazionalismo viene sempre associata al fascismo, è una diretta conseguenza della storia di questo paese. Ma se vai a vedere i baschi, i corsi etc. non hanno problemi a dirsi nazionalisti, così come alcuni movimenti proletari di compagni in altre parti del mondo.

In Italia inoltre, movimenti secessionisti come la lega lombarda hanno alimentato il pregiudizio verso questo tipo di istanze. In realtà l’autodeterminazione popolare delle nazioni senza stato è un principio politico universalmente riconosciuto, e che che se ne dica la Sardegna era e rimane un’entità nazionale con tutti i suoi crismi. Volere la secessione per motivi prettamente economici come propagandava la lega è una cosa, far cessare il dominio economico, culturale linguistico e territoriale, la pretesa dell’autogoverno è un’altra. Più volte abbiamo incontrato difficoltà a parlare di queste cose ed è normale. In Italia la propaganda nazionalista è sempre stata forte: la costituzione “più bella del mondo” il principio di indivisibilità dello stato, l’esaltazione dell’esercito etc. Agli italiani gli indipendentismi piacciono sempre quando non riguardano il loro stato, a nessuno piace essere chiamato invasore.

Radio Punk: Siccome non tutti hanno la possibilità di farsi spiegare di cosa parlano i testi mentre si sbevazzano delle birrette, raccontateci un po’ di che parla “La Provincia Odia”. E come minchia fate a comporre i pezzi a distanza, dato che siete sparsi tra Bologna e la Sardegna.

C4: Brevemente: “Sàmbini a soi” parla del cosiddetto “eccidio di Bugerru”. In una comunità in cui la ditta francese che gestiva le miniere possedeva l’intero paese, nel 1904 durante uno sciopero, l’esercito sparò sui minatori uccidendone 4 e ferendone a centinaia. Gli operai morti furono sepolti nel cimitero del paese, anch’esso di proprietà dei francesi, per questo si dice che i minatori erano proprietà della miniera anche da morti. Questo sciopero fu la miccia che qualche mese dopo diede vita al primo sciopero generale d’Italia.

“Biddas scarèscias” è il pezzo più rappresentativo del 7 pollici. La narrazione mainstream che spesso sentiamo riguardo le piccole comunità rurali sarde è fatta di bellezza, antiche tradizioni, folklorismo becero da vendere ai turisti. In realtà dietro queste facciate ci sono disoccupazione, lavoro nero, inquinamento, spopolamento, depressione sociale, e tante problematiche da tenere nascoste al visitatore di turno. Noi parliamo di questo in maniera cruda. Non siamo la provincia bella e vendibile, noi siamo la provincia povera e disadattata, la provincia che odia.

Costruito in Sardigna è un piccolo tributo al percorso del nostro gruppo. Nel 2021 i c4 compiono 15 anni, e nel bene e nel male questi anni ci hanno portato ad essere ciò che siamo anche come persone. Questo pezzo è solo per noi.

Infine: Figlio di papà. Per noi il punk è sempre stato anche rivendicazione sociale. I borghesi che giocano a fare i punk per ribellismo fine a se stesso, quelli che parlano di working class senza essere mai stati in un cantiere ci sono sempre stati sul cazzo. Questa roba è nostra, non si compra, non ci si gioca per fare i pagliacci.

Per quanto riguarda la scrittura: negli anni abbiamo escogitato un modus operandi che pare funzionare. Chi scrive è Roberto nei c4, da sempre. Grazie a una schedina audio e a dei programmi di registrazione, lui compone le demo dei pezzi che scrive, le registra e le manda a tutti. Ne discutiamo in chat e ognuno vede le sue parti. Quelle poche volte che riusciamo a beccarci in saletta abbiamo materiale pronto che dobbiamo solo rivedere e sistemare. I pezzi a volte avrebbero potuto avere una rifinitura migliore con più saletta. Ma ci si arrangia per quanto si può!

Radio Punk: Siete tra le poche band del nostro giro ad essere su Spotify. La domanda che attanaglia l’umanità è: cosa ne pensate di questo tipo di piattaforme e più in generale dei social. Alcuni sostengono che bisogna assolutamente evitarli per dare spazio al disco fisico, voi che ragionamento fate e cosa vi ha spinto a dire “vabbeh, mettiamo le tracce pure su spotify”?

C4: Partiamo dicendo che per chi come noi è vissuto fuori dai grandi centri urbani e quindi dalle scene musicali grosse, internet è stata una benedizione. Purtroppo da quando eravamo ragazzini noi, internet è cambiato esclusivamente in peggio, quella libertà assoluta che lo caratterizzava è scomparsa. Lo streaming musicale non fa eccezione. Youtube ha dato modo a tante band di farsi conoscere, ora ha un orientamento assoluto verso le industrie musicali, e le nuove piattaforme, tra cui spotify, sono la stessa merda.

Il punto è che il formato fisico ormai non solo lo comprano in pochi, alcuni nemmeno lo vogliono più. Molte persone nemmeno hanno un supporto per leggere i CD, il recupero dei vinili ha fatto avvicinare un po’ di persone, ma il numero è decisamente limitato. Non funziona nemmeno più il free download: se vai a vedere i numeri che facevano prima siti come punk4free rispetto a quelli di oggi pare assurdo. Oltretutto le nuove generazioni ascoltano esclusivamente in streaming, e qualcuno se deve comprare lo fa digitalmente. Il nostro motto è sempre stato “mettiamo tutto ovunque gratis”, e così abbiamo sempre fatto, anche se le piattaforme moderne sono quel che sono. Cerchiamo di andare incontro a tutti, questo è il punto. Se domani tutti i critici del modello streaming riprendono a comprare dischi a quintalate o a usare solo siti “della scena” per scaricare, i primi a esserne felici saremo noi.

Radio Punk: Abbiamo conosciuto diversi sardi in questi anni e proveniente da progetti piuttosto diversi tra loro. Com’è la scena dalle vostre parti? In generale come vedete la situazione della nostra controcultura, pensate che siamo a rischio estinzione, manca del ricambio generazionale o siete fiduciosi? C’è qualche scena alla quale siete particolarmente legati?

C4: Tirare le somme di una scena in un momento come questo è un po’ difficile. Per ciò che posso dirti, in Sardegna siamo pochi, sparsi un po’ qua e la, e forse anche per questo ci vogliamo tutti molto bene! C’è molta cooperazione e supporto, anche se le circostanze di aggregazione sono sempre poche rispetto ad altre realtà. L’età media tende a salire, ma qualche giovane si è affacciato alla cultura punk/skins. Credo sia un po’ presto per parlare di estinzione, guardando indietro, 10 anni fa questa scena era molto diversa, 20 ancora di più. Più che sparire credo che cambieranno molte cose, se sarà in bene o in male si vedrà.

Per ovvi motivi siamo molto legati alla scena Bolognese. Robi vive lì, è la prima che ci ha accolto per suonare e per vari motivi siamo capitati tutti spesso in città. Oltre ad avere una storia alle spalle che ormai è leggenda, è una scena viva fatta di spazi importanti e di collettivi attivi non solo nel campo musicale. Speriamo di tornarci il prima possibile.

Radio Punk: State continuando a lavorare su pezzi nuovi per un nuovo album, split o singolo o per il momento vi fermate in attesa di portarlo ai concerti quando riprenderanno? E proprio riguardo ai concerti: che prospettive vedete per il futuro? Il nostro mondo gira molto intorno al contatto e alle relazioni, in questi mesi di inattività live, avete pensato a qualche alternativa di socialità? E invece qualche alternativa ai concerti?

C4: Dopo questo EP era già in programma una pausa dalla scrittura. L’idea era di buttarsi veramente a capofitto nei live, dato che negli ultimi anni siamo andati un pò a rilento, ma per ovvi motivi ci siamo attaccati al cazzo, come tutti d’altronde. Riguardo i concerti è un discorso veramente duro. Non si tratta di guardare solo alle limitazioni statali, è che se ti accolli di fare un concerto e poi si crea un focolaio di virus, ti ritrovi con una responsabilità addosso pessima. Purtroppo non ci sono grosse alternative: non è musica da ascoltare distanziati, seduti, in streaming, niente. Qualche suonata privata tra amici per adesso sembra la soluzione per tirare tutti un minimo il fiato, ma non può diventare la regola. Sarà dura e lunga, speriamo che sta merda finisca al più presto.

Radio Punk: Chiudiamo in bellezza, raccontateci le situazioni che ricordate con più piacere e quelle invece più grottesche successe durante i vostri concerti! Vi ringraziamo ancora e ci vediamo presto kidzzz!

C4: Fare gavetta musicale in Sardegna regala perle non di poco conto, quindi vi raccontiamo un aneddotto grottesco e divertente insieme che si fa prima. Una volta andammo a suonare in un paesino del mandrolisai assieme a una band di amici che facevano hard rock. Erano i giorni della festa paesana e avevano organizzato una serata “rock” per i giovani. Arrivammo alla piazza e la trovammo deserta, ma nel vero senso della parola. C’erano solo l’organizzatore, il fonico e 2 vigili. Suonammo lo stesso perchè avevamo fatto tanta strada, e poi andammo al bar del paese in uno stato di assoluta depressione. Li ci videro con gli strumenti e ci chiesero se eravamo musicisti, e se gli potevamo suonare qualcosa. Ovviamente non volevano sentire punk. Due ragazzi dell’altra band suonarono un pezzo tradizionale sardo, fu una bella esecuzione, i locals erano euforici. Cominciarono ad arrivare birre al tavolo gratis in quantità industriale. A una certa eravamo tutti andati e c’era un gran casino, tanto che uno di noi chiese “ma non è che ci chiamano i vigili?”. Uno dei paesani ci indicò allora un signore che sbatteva un manico di scopa sull’asfalto facendo un casino nero, imitando non so chi, dicendo “è lui il vigile”.

Grazie dell’intervista e di tutto quello che fate, picciocus! A sa prossima!

DICONO DI LORO:

Qui di seguito vi linkiamo gli articoli di altre ‘zine che parlano dei C4 postumi all’uscita di “La Provincia Odia”:

REMINDER:

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