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Lost and found 4: tre dischi e un libro punk

Nuovo episodio del Lost and found con tre dischi e un libro punk da scoprire

Dopo la prima edizione in cui si parlava delle “gemme” dell’hardcore, la seconda in cui si parlava di quattro album punk completamente diversi e la terza su quattro libri imperdibili, torna la rubrica Lost and found alla scoperta di tre dischi e un libro punk.

La Furnasetta – Diary Of A Madamina (Solium Records)

Terroristi sonori dissacranti e senza regole, i personaggi che tirano i fili de La Furnasetta si muovono sul labile confine dell’ironia ricercata e applicata all’avanguardia musicale, accattivandosi l’interesse della francese Solium records. Un album che non è certo per i palati più tradizionalisti, harsh noise che ruba a mani basse dalla musica colta come dal metallo (Sparwasser), senza sdegnare qualche tamarrata dance (A Jimmys Dream, A Church Within) particolarità quest’ultima che distingue La Furnasetta dalle proposte harsh noise canoniche, ammesso che di canoni si possa parlare.

Le tracce che si avvalgono dell’uso di eteree parti vocali (A New Genesi) sono godibili anche per l’ascoltatore generico, che però resterà sicuramente spiazzato dalle colate laviche di brani come Army of Immortals o Mercyful Cake (ahah) o da Autumn on Acid, rumorazzi industriali e soffocanti chiusure ermetiche, non adatte ai claustrofobici. Non so quanti lettori di Radio Punk apprezzino il genere ma trovo comunque interessante confrontarsi con i generi di musica più estremi e di rottura, d’altronde è qui che una ventina d’anni fa andava a parare il grindcore. Consigliato a chi vuol provare musica sensoriale e disturbante.

Billycock – You Are not punk Rock

Il titolo e la copertina mi avevano ingannato e fatto pensare all’ennesimo album pop punk banalotto , invece questo maxi EP mi ha positivamente colpito per l’ottimo uso delle melodie. Siamo in zona Alkaline Trio, quell’emo punk che si stava perdendo per strada e che, grazie a Minus Hero (più shoegaze a dire il vero) e Billycock, sta ritrovando la propria linfa in quel di Latina. Il trucco? Questo genere va suonato da gente che non ha ascoltato solo quello ma che si sa muovere sulle corde per creare riff e linee sempre diverse.

Nei primi tre brani è già impressa l’intera tavolozza dei colori del punk rock melodico, i già citati Alkaline trio si alternano a Weezer e Dillinger four. Animols riprende inconsapevolmente il filo logico di un altro ottimo disco italiano uscito quest’anno, l’esordio dei Komet, la riprova che nello stivale c’è una buona scuola melodica che può affiancare la già consolidata schiera di ottimi gruppi hardcore.

La sensazione emotiva che percorre tutto il disco è quella di una positività che non riesce mai ad essere pienamente comunicata, una sorta di “sono felice ma…” rappresentato al meglio da Figure Out, una canzone che intreccia melodie catchy a momenti minacciosi, vagamente nello stile dei Lillingtons. La ballad The World Can Bring me Down è l’unico palo dell’EP , nel senso che è un brano poco centrato con il periodo storico-musicale in cui ci troviamo, una canzone da 2002 se capite cosa intendo, nulla di inascoltabile comunque. The Flood in Memory è più epica tra le canzoni del disco, strofe palm mutate e ritornello di botta e risposta vocali assolutamente efficace. L’acusticata finale è un ottimo modo per confermare la versatilità di questa band, poi io amo il kazoo. Curioso di vederli dal vivo.

Leftover Crack – Architects of Self Destruction (Libro)

Mi è costato un rene, ma comprare un libro dei Leftover Crack su Amazon era un ossimoro a cui non volevo prestare il fianco. In ogni caso, aspettavo una biografia della band newyorkese da anni e finalmente eccola, con tutti i loro alti e bassi, le contraddizioni, la droga, la vita da squatter e da vagabondi, i cassonetti della spazzatura usati per trasportare la backline e legati dietro al tour bass dei Dropkick Murphys, i problemi con la censura da parte di Hellcat/Epitaph, le registrazioni in studio con Steve Albini e tanto altro. Se siete fan correte a comprarlo, se non lo siete eccovi finalmente la biografia di un gruppo che ascolta i Neurosis così come i Pixies e mischia ska, crust, punk melodico e black metal senza mai piegarsi al mercato e alle sue esigenze.

Chubby and the Gang – The Mutt’s Nuts

Perdio, qualcuno spieghi a questi ragazzi come si scelgono gli stramaledetti singoli! Dai brani in anteprima sembrava oggettivamente un disco di merda, invece beccatevi sta mazzata street punk in bocca. Chubby e la sua ghenga dettano legge con i primi due brani, dopo i quali la pausa pub rock di Comming Up Tough, che come singolo non mi convinceva, assume un senso e si lascia cantare piacevolmente. Non manca il glam oi! (On the Meter, Life on the Bayou), i Jam così come gli Slade e i Buzzcocks sono presenti in dosi massicce. Interessante quando Charlie Manning Walker, in arte Chubby Charles gioca a fare Shane MacGowan, intonando, o meglio, stonando sulle dolci note di una ballad dal nome Take me Home To London o Life’s Lemon, il risultato dopo un paio di ascolti si svela nella sua efficacia, esperimento riuscito.

Un po’ meno piacevole l’andamento hard blues di White Rags, pezzo a cui manca lo swing giusto per colpire nel segno, apprezzabile il tentativo. Su tutte spicca Someones Gunna Die, street punk melodico suonato a rotta di collo con coretto 50’s e armonica scatenata, largamente il mio brano preferito del disco, subito prima di Lightning don’t strike twice e la più lenta I Hate the radio.
Ovviamente tra le carte vincenti della band c’è ancora il coloratissimo artwork che fa venir voglia di sedersi sul divano in botta a scoprire e riscoprire i mille segreti della copertina, arte quella del cazzeggio perditempo che purtroppo sembra scomparsa.

Nick Northern

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