the good the bad and the zugly

The Good, The Bad and The Zugly – punk dai fiordi

The Good, the Bad and the Zugly: il Buono, il Brutto e il Rock’n’roll

Appena in tempo, prima della fine di questo anno di merda, mi riservo il privilegio di recensire una delle pochissime ragioni per cui il 2020 potrebbe essere ricordato positivamente. Formatisi nel 2011 in Norvegia, dopo l’ottimo Misanthropical House del 2018, i The Good, the Bad and the Zugly ci regalano un album forse persino migliore del precedente, che io, personalmente, considero uno dei migliori dischi usciti quest’anno.

Al loro quarto disco in studio, questi cinque teppisti nordici hanno affinato e brevettato un sound potente, snello ma non per questo meno composito e ricco di spunti. Se la loro matrice di base è infatti inconfutabilmente quella del punk hardcore più abrasivo, la sintesi del loro sound è caratterizzata da forti influenze rock’n’roll. Se infatti l’aggressività e la velocità non mancano di certo – come dimostrano kings of inconvenience e what have you done for me lately? – sono perfettamente in equilibrio con degli innesti più ritmati, in cui questi ragazzi dimostrano di aver fatto molto bene i compiti per casa, cogliendo a piene mani dai solchi già tracciati da New York Dolls, AC/DC, Alice Cooper, dai loro conterranei Turbonegro (che il sottoscritto non smetterà mai di rimpiangere) e dal meglio che l’era dello scandirock ci abbia offerto.

Una miscela ad alti ottani di arroganza ed aggressività dunque, sostenuta da riff spigolosi e trascinanti, da cui emerge un cantato rauco, acido ed urticante. Questo loro atteggiamento caustico non fa che ripercuotersi anche nei testi, spesso e volentieri polemici, ironici e che non risparmiano di mettere alla berlina i coni d’ombra di questa nostra sempre più discutibile e soffocante quotidianità, nonché di certi segmenti della stessa ‘scena’ underground, senza tuttavia mai dimenticare l’amore dichiarato per gli eccessi, il bere – non siete i soli – e il ribadire concetti secolarizzati ma non per questo meno attuali, come testimonia fuck the police.

Un album maturo, nell’accezione migliore del termine, completo, che sa alternare atmosfere e sensazioni come capitoli o scene di un film, sempre legate tra loro pur nelle loro rispettive diversità. Come testimonia un artwork epilettico e formidabile, questo album è figlio dei suoi tempi, di anni e mesi bui, incerti, preda di irrazionalismo telematico puro e ahimè vittima di un annus horribilis che ne ha impedito una adeguata distribuzione e di essere proposto dal vivo. Per me, assolutamente sul podio dei dischi dell’anno, ascoltatevelo e comprate la copia fisica, orco can!

Articolo a cura di Rash


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