Kalashnikov collective ad un live - La scena punk romana - Rome's punk scene

Traiettorie esistenziali oblique

La scena punk romana vista da fuori

Avevo cercato di seguire una strada convenzionale (…) ma mancava qualcosa: era la vita” Penny Rimbaud

Andare in giro per concerti con la nostra band/collettivo è sempre stata una festa. Uno squarcio di brillante azzurro nel grigio del quotidiano. E’ incredibile quante persone e quanti posti abbiamo conosciuto grazie alla musica. Che sia per una data infrasettimanale (con il corredo di sbattimenti e corse per incastrare gli orari) o per un tour di più date (in luoghi che a malapena sapevamo indicare sulla mappa), una volta partiti la nostra testa si fa leggera.

Quando capita di tornare negli stessi posti, spesso ritroviamo la stessa gente. Perché la scena punk è così: cocciuta e sentimentale. Si vuole stare assieme e creare delle situazioni liberate, ad ogni costo. Rivedersi anche se poi ci si dà solo un’affettuosa pacca sulle spalle perché si è troppo presi a scaricare gli ampli, srotolare cavi, gestire i tempi della serata oppure semplicemente parlare con altre persone. Grazie al punk abbiamo scoperto l’attivismo politico, la bellezza dello schierarsi, del prendere posizioni non facili o banali. Nessuno di noi è immune alle strutture di potere e dominio, soprattutto oggi, dove gli strumenti di controllo e colonizzazione culturale si fanno terribilmente pervasivi. La differenza è che i punk – spesso – lo sanno. Ne sono consapevoli. E questo è già un primo importante passo per ritrovare almeno uno straccio di libertà. Chi si rifugia nel conformismo è destinato a non assaporare mai i frutti esotici della bellezza.

Per i Kalashnikov andare a Roma per suonare è tutto questo e molto di più. La scena punk romana per noi è sempre stata imprevedibile. Ci è capitato di suonare in situazioni enormi e affollatissime. Altre volte di fare concerti tra pochi intimi. Ma non c’è stata mai occasione che sia stata banale. La prima volta – nel lontanissimo 2004 – fummo invitati dalla Banda Bassotti al CSOA La Strada per suonare coi Bloody Riot. All’epoca (altri tempi) eravamo ascoltavamo spesso “Figli della stessa rabbia” e ci è parsa un’occasione fantastica: “wow!”. E’ stato il nostro primo grande concerto un po’ fuori dai nostri soliti giri. Sul manifesto gli organizzatori scrissero con nostra grande sorpresa “Kalashnikov punk da Monza”. Dato che sarebbero accorse orde di redskin, temevano che rivelando la nostra provenienza milanese saremmo andati incontro a una pessima accoglienza. Non che scrivendo “Monza” cambiasse in realtà molto ma…boh! Per evitare equivoci, ci siamo rifatti quando Milena dal palco introdusse un pezzo in scaletta gridando a squarciagola “il prossimo pezzo si intitola…Milano…odiaaa!”. Beh, in effetti gli organizzatori non avevano tutti i torti. Dalle prime file partì immediatamente un coro all’unisono con tanto di indice alzato: “MILANO IN FIAMME! MILANO IN FIAMME!”. Si sentivano a centinaia. Tememmo di venire tirati giù dal palco e linciati al centro di in una rissa vorticosa, ma in realtà fu un modo per rompere il ghiaccio e a fine pezzo partì pure un applauso. Fu un’esperienza pazzesca: per la prima volta suonammo davanti a TANTE persone, tra cui anche il mitico attore Valerio Mastandrea. Quella dei “vip” è stata sempre una costante dei concerti a Roma, fino all’ultimo di “Questa è Roma” nel 2020, dove ci imbattemmo nel famigerato imprenditore della ristorazione Joe Bastianich. Cosa ci facesse nello spazio autogestito Strike rimane un mistero…tornando al 2004, finito il concerto conoscemmo Roberto Perciballi (compianto front-man dei Bloody Riot) che ci accompagnò in auto in albergo per dormire. Saranno state le quattro del mattino quando ci presentammo tutti puzzolenti e mezzi ubriachi nella hall di un hotel che – per i nostri standard – ci sembrava roba da ricchi. Un ragazzo filippino in livrea si affrettò a prenderci gli strumenti: pensammo a un errore (o a un ladro) e ci girammo verso Roberto con sguardo interrogativo. Lui invece tirò fuori un enorme rotolo sudato di banconote, con le quali ci pagò le camere. “N’abbraccio, buonanotte rigà!” e sparì. Rinunciammo alla consueta pratica rock’n’roll di sfasciare le camere d’albergo solo perché…non eravamo mai stati in un albergo con l’idromassaggio!

E’ capitato poi di tornare a Roma in varie occasioni: a Torre Maura, allo Spartaco, al Bencivenga…

Un altro concerto romano che ricordiamo con affetto è stato quello al Laurentino 38. Sarà stato il 2018 e ritornammo – dopo averci soltanto dormito nel 2016 – in quel quartiere incredibile, una somma di enormi blocchi edilizi di periferia dei quale non si vede la fine, pieni di interminabili corridoi e spazi inutili, umidi di acqua che gocciola di soffitti. Ma ricordiamo tanto affetto e tanto calore tra quel cemento armato scrostato. La percezione che – suonare in certi posti – acquista davvero un senso più profondo. La complicità con un progetto politico. L’incrocio di esistenze fuori dagli schemi. Un’entità con la quale abbiamo avuto sempre un rapporto stretto di affetto è Radio Onda Rossa. Il concerto benefit all’ex-Snia lo ricordiamo come uno dei più partecipati di sempre, con un sacco di bella gente. Poi – ultimamente – c’è stato “Questa è Roma 2020”, altra situazione gigante.

Ogni luogo ha delle caratteristiche uniche e suonare è un modo per conoscerle. La musica è uno straordinario mezzo per viaggiare, per conoscere le cose “da dentro”. Se giri come un turista certe cose non le capirai mai. Come – ad esempio – stare alla festa del primo maggio in piazza Rossa a Mosca, dove scopri che i cimeli del passato comunista sono in realtà esaltati dai patrioti che noi – con le “nostre” categorie – collocheremmo nell’estrema destra. Come stare a Kiev durante il conflitto ucraino e parlare con ragazzi e ragazze che quello stesso conflitto lo vivono sulla loro pelle, spiegandoti che stanno in mezzo tra “due diverse facce dello stesso nazionalismo”. Credo che, se non avessimo iniziato a suonare, avremmo visto meno della metà dei posti che abbiamo effettivamente vissuto, conosciuto meno della metà della gente che poi abbiamo realmente incontrato e con la quale abbiamo stretto rapporti di amicizia che durano ancora oggi.

La musica è una strana via di espressione: è astratta, fatta di suoni che vibrano nell’aria.

Attraverso la musica molti di noi hanno intrapreso traiettorie esistenziali del tutto impreviste. Il punk mi ha insegnato che “tutti possono farlo”. Quindi anch’io, anche tu. Buttati! Facendo le cose, impari e sviluppi una capacità. Scolpisci inconsapevolmente la tua personalità. Quando poi suoni ad altre persone, i rapporti personali si fanno più stretti, più intensi. E’ la bellezza di condividere qualcosa di comune. Puoi entrare in risonanza con chiunque. Ovunque. Anche ora…che aspetti?

Kalashnikov collective, Milano 2020